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È una delle evoluzioni più recenti nella storia del branding e, al tempo stesso, una delle più stimolanti. La consapevolezza che un brand deve riuscire ad essere rilevante anche verso l’interno e non solo rivolgersi ai clienti e alle platee esterne, ha cambiato le strategie di branding e – più nel profondo – il pensiero strategico alla loro base, portando alla nascita di nuove prassi, nuovi metodi e nuovi strumenti.
In tantissimi casi, oltretutto, l’implementazione di strategie di employer branding porta a una maggiore efficacia delle attività che appartengono alla sfera “tradizionale” del branding, con ricadute positive su fattori cruciali come produttività, customer experience e percezione della marca.
Sono temi che abbiamo incontrato di recente anche durante la realizzazione di Employer Love Branding, il progetto editoriale di CBA Italy dedicato all’employer branding e in particolare alla valorizzazione del brand nella relazione fra azienda e lavoratori, lanciato nello scorso mese di febbraio.
Un viaggio nel quale abbiamo cercato di capire come definire ed elevare il ruolo del brand nell’engagement interno, tentando di comprendere quanto (e come) l’applicazione dei principi propri di un Employer Love Brand possa portare vantaggi reali per le imprese.
Temi di discussione tutt’altro che accademici, in un momento storico in cui le aziende si confrontano quotidianamente con un mercato del lavoro dinamico e difficile, all’interno del quale attrazione, acquisizione e mantenimento dei talenti sono sempre più difficoltosi. L’employer branding diventa un’arma essenziale, all’interno di questo contesto, e lo fa servendosi dei più disparati spazi, linguaggi e strumenti.
Fra i tool più moderni (e sempre più diffusi, in Italia come all’estero) ci sono le Corporate Academy, ovvero quelle strutture di formazione continua, permanenti e interne alle aziende. Ne esistono di tipi diversi, soprattutto dal punto di vista organizzativo. La distinzione è principalmente fra Academy 100% interne, aperte dunque ai soli dipendenti, ed entità che nascono in seno a realtà aziendali ma sono accessibili anche da soggetti esterni, che si tratti di potenziali talenti, fornitori, stakeholder o semplicemente di soggetti interessati alle conoscenze proposte.
Le Corporate Academy concorrono a diversi obiettivi. Il primo è – naturalmente – quello della formazione specifica, grazie alla diffusione di contenuti di valore, tecnici e non. Accanto a questa c’è la funzione più di posizionamento e awareness nei confronti del mondo esterno all’azienda, soprattutto quando si tratta di academy “open”. Un’accurata progettazione strategica e coerente dell’Academy contribuisce in genere a rafforzare il posizionamento del brand sul mercato di riferimento, oltre a diventare un tassello importante della reputazione aziendale.
Ma enorme è anche l’impatto che le Academy possono avere sui temi più vicini all’employer branding in senso stretto: dall’avvicinamento fra i valori aziendali e quelli personali dei dipendenti, alla definizione di approcci e metodi codificati, alla creazione di nuovi spazi di condivisione, fino a diventare una leva fortissima di attraction nei confronti di nuovi potenziali talenti e di retention nei confronti di chi vive già la realtà dell’azienda.
Ovviamente, dal punto di vista strategico, la progettazione e realizzazione di un’Academy (o University, come a volte vengono chiamate) pone delle questioni di brand architecture, in particolare per ciò che riguarda il rapporto con il brand Corporate. Dalla nostra conoscenza del mercato di riferimento (che ha portato alla finalizzazione di uno dei nostri ultimi lavori, il progetto di branding riguardante Lynfa, la Corporate Academy del Gruppo Sella) abbiamo sintetizzato tre principali scenari.
Nel primo, la familiarità fra Academy e Corporate è palese ed esplicita, ed evidenzia una forte coerenza di posizionamento fra il brand e la sua Academy. È il caso, ad esempio, della Mastercard Academy.
Il secondo è uno scenario ibrido: l’Academy si ritaglia uno spazio di indipendenza rispetto alla Corporate, condividendo identità visiva/testuale o contenuti affrontati, ma mai entrambi. Un tipico esempio del genere è quello di b*right, la corporate university di GiGroup, per la quale abbiamo progettato naming e identità di marca.
Infine, il terzo approccio è quello in cui l’Academy diventa un soggetto a sé stante, con un posizionamento autonomo, una propria visual identity e una propria comunicazione indipendente. A questo scenario appartiene Go Beyond Academy, la scuola di Sisal dedicata all’innovazione e alla community startup.
La scelta fra queste diverse opzioni è, in fin dei conti, tutta una questione di strategia e non può non partire dagli obiettivi dell’azienda, siano essi generali o di employer branding. Laddove, ad esempio, la necessità primaria sia quella di rafforzare il legame valoriale con le persone dell’azienda, il primo scenario sarà il più efficace, sia in termini di brand architecture che nelle scelte contenutistiche e organizzative della Corporate Academy.
Una scelta ibrida, invece, può rivelarsi più adatta nei casi in cui la necessità di employer branding sia quella di far percepire l’esistenza di “liberi spazi” di condivisione di conoscenze e di innovazione, ma anche di idee e ambizioni personali: uno scenario ideale per far emergere il talento e trovare nuove chiavi per valorizzarlo.
Il terzo scenario, quello Self Standing, essendo quello più svincolato dal mother brand si rivela particolarmente azzeccato (come nel caso di Lynfa) in quelle situazioni in cui l’obiettivo di employer branding sia l’apertura verso l’esterno, ad esempio in termini di talent attraction e acquisition.
Fabio Pisanu, Communication Strategist
© CBA DESIGN 2022 – CB’A Srl 05940620965
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