Il linguaggio, come diceva Martin Heidegger, è la casa dell’essere, e nella sua dimora abita l’uomo. Parafrasandolo, possiamo dire che vi abita anche il brand.
Le parole scelte per raccontare un’azienda o un’organizzazione, un prodotto o un servizio, infatti, sono fondamentali non solo per creare una connessione con i clienti o gli utenti, ma anche per plasmare l’universo semantico nel quale il brand vive quotidianamente.
Ma di quali parole stiamo parlando?
Uno degli elementi principali del racconto di una marca, il più evidente subito dopo il nome stesso, è la tagline. Una locuzione breve ed eloquente, che riassume il suo posizionamento.
A volte è collocata anche visivamente sotto il nome della marca, altre volte al suo fianco. Ma può anche non comparire affatto, soprattutto quando è particolarmente memorabile.
L’importanza della tagline
L’obiettivo della tagline è aiutare il brand a farsi ricordare dai suoi pubblici, esaltandone la personalità e differenziandolo rispetto ai competitor.
Basta pensare al Connecting people di Nokia: due parole capaci di spalancare una pletora di significati nella mente di chiunque, in un periodo storico senza smartphone e Wi-Fi diffuso, dove chi non aveva un cellulare Nokia (un vero e proprio status symbol) era praticamente tagliato fuori.
La famosa tagline di Nokia, accompagnata da un key visual altrettanto eloquente
Un brand, a partire dalla sua tagline, deve quindi dialogare con le persone, permettendo loro di orientarsi attraverso tutti i touchpoint digitali e fisici, senza soluzione di continuità.
I messaggi che arrivano all’esterno devono essere frammenti di una storia più grande, facilmente riconoscibile in quanto interna all’universo semantico della marca, e contemporaneamente con riferimenti al mondo là fuori. Una storia in cui i pubblici si identificano in quanto anch’essi attori.
Il costo del pay-off
In CBA abbiamo l’abitudine di mettere nero su bianco concetti ed espressioni, perché crediamo che avere una tassonomia degli strumenti a nostra disposizione sia il modo migliore per usarli correttamente.
Ecco perché distinguiamo la tagline dal pay-off.
È vero: sono parole che hanno difficilmente una denotazione univoca, soprattutto perché – con l’evoluzione costante della pubblicità – hanno perso il collegamento diretto e universale con gli oggetti che identificavano. Ma noi ci occupiamo di branding, perciò prendiamo in prestito i termini della pubblicità per plasmarli sulle esigenze dei nostri progetti.
Dicevamo, dunque, il pay-off. In CBA concepiamo quest’ultimo come una breve frase che esplicita il concept di una o più campagne di comunicazione. Se efficace, il pay-off può diventare nel tempo un asset di marca e sviluppare un awareness enorme. Ma non descrive intrinsecamente l’offerta del brand.
Rispetto alla tagline è più costoso da mantenere, e infatti spesso si giustifica solo con milioni di investimenti per decenni.
Alcuni esempi?
Il celebre I’m lovin’ it di McDonald’s, oppure il Think Different di Apple, entrambi nati per accompagnare delle campagne di comunicazione e poi consolidati nel corso degli anni.
Il primo venne addirittura supportato – all’epoca del suo lancio nel 2003 – dall’incisione di un singolo musicale di Justin Timberlake. Il secondo nacque nel 1997 per accompagnare la campagna pubblicitaria per il lancio sul mercato dell’iMac. Il resto è storia recente.
la tagline I’m loving it di McDonald’s usata per il singolo di Justin Timerlake
Parliamo, invece, di claim a proposito di frasi che sono legate esclusivamente a una campagna pubblicitaria.
Il claim può promuovere un prodotto specifico o una linea di prodotti, ma è strutturalmente temporaneo, e non sopravvive per consolidarsi nel DNA della marca. Ritornando su McDonald’s, ha fatto discutere una campagna outdoor realizzata nel 2019 in Austria: giocando con il suono della parola mampfen (“mangiare”, “mordere” in lingua tedesca), degli hamburger contenenti ingredienti tipicamente italiani sono stati pubblicizzati con un claim che suonava come panini per veri mafiosi. Come si può immaginare, ebbe vita breve.
Proviamo a sintetizzare quanto detto finora in un ipotetico continuum.
Un ipotetico schema temporale per tagline, pay-off e claim
La tagline come estensione del brand
La tagline, tuttavia, non deve limitarsi a raccontare il brand, ma deve andare oltre. Deve stare dentro il mondo – persino esprimere la visione del mondo che ha la marca.
Deve diventare concreta, passando dalle parole ai fatti.
Per esempio, attraverso gli store.
Per Bricocenter, in CBA abbiamo progettato un nuovo punto vendita, calando nella realtà di un quartiere di Milano la tagline Vicini di fare.
L’apertura è diventata l’occasione per far scoprire ai clienti/utenti un luogo accogliente e aperto a tutti, che si pone l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per la comunità. Dove è possibile conoscere, conoscersi e condividere la cultura del “fare insieme”.
La prossimità umana e locale sono valori fondamentali del brand Bricocenter, e lo store milanese li ha resi concreti, come un’estensione del brand dentro il mondo. A questo hanno contribuito anche il ritocco del logo e la creazione di un sistema di pittogrammi disegnati a mano.
Il punto vendita di Bricocenter a Milano
La tagline come sintesi dei valori
I valori sono un asset fondamentale dell’essenza di un brand.
Perché, quando sono sinceri, guidano tutte le azioni di una marca, anche quelle relative alla comunicazione. Come nel caso di una persona.
Prendiamo il caso di Langosteria.
Un’eccellenza nel mondo della ristorazione ma che in realtà è molto di più: un approccio contemporaneo di matrice italiana per un’atmosfera di fine dining orchestrata per far star bene chiunque la scelga.
Abbiamo identificato i tre valori fondanti del brand in italianità contemporanea, ritmo ed eccellenza. Valori che vanno oltre il settore food, descrivendo a tutto tondo Langosteria come se fosse un essere umano.
Questo ci ha guidato nello sviluppo della tagline, the Italian beat for fine dining, nonché i messaggi e i touchpoint per trasmettere concretamente questa tagline a clienti e potenziali tali.
Langosteria: The Italian beat for fine dining
Le parole giuste
Ovunque ci si giri, i messaggi di aziende e organizzazioni sono pronti a condurci in tanti universi semantici. Tanto che determinati nomi diventano sinonimi di intere categorie di prodotti e servizi.
Prendendo in prestito una celebre frase di Marc Andreessen, si può forse affermare che brand is eating the world? Probabilmente no, poiché più che mangiarsi il mondo contribuiscono ad assaporarlo.
È però innegabile che un numero crescente di esseri umani, soprattutto quelli nati dopo l’avvento di Internet, sono abituati a interpretare la realtà in maniera sempre più mediata dalla comunicazione dei marchi.
È compito di chi lavora dietro le quinte far sì che questa mediazione sia costruttiva. Anche scegliendo le parole giuste, perché, come ci ricorda qualcuno, le parole sono importanti.
Filippo Marano, Communication Designer at CBA
«Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!», ammoniva Nanni Moretti in uno dei suoi indimenticabili film: Palombella rossa