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Dal B2B, business to business, al B2C, business to consumer, al H2H, human to human. Un approccio sempre più intimo e personale che spinge i brand a instaurare una relazione diretta con i propri clienti.
Esistono diverse modalità per instaurare questa tipologia di relazione. Un abilitatore chiave del legame è la trasmissione di conoscenza, guidare i propri clienti nell’apprendimento. Un legame che dimostra al cliente l’attenzione che il brand ha per lui, spingendo la marca ad essere sempre più percepita come umana, rilevante e “presente” nella vita di tutti i giorni dei suoi clienti finali.
Insegnare significa educare il consumatore non soltanto rispetto all’uso e al consumo del prodotto che sta comprando ma anche sul suo contesto di utilizzo, abilitando l’instaurarsi di una relazione più profonda con l’utente, che va oltre il semplice acquisto, nella direzione della fidelizzazione.
Educare il cliente porta questa relazione su di un nuovo livello.
Quali brand ci stanno dimostrando che relazione può significare (anche) educazione?
Ha applicato questo concetto con una modalità quasi velata ma estremamente impattante ed efficace. Quello che è riuscito a fare è stato insegnare alla popolazione americana a mangiare sano stando dentro un budget limitato. Un vincolo fondamentale per i clienti, che Trader Joe’s ha soddisfatto proponendo prezzi più convenienti e offerte mirate su prodotti salutari. Un fatto di estrema importanza in uno stato dove il tasso di obesità negli adulti ha superato il 35%. Merito anche dell’impatto della comunicazione del brand che può sfruttare la presenza di 467 store in 41 paesi.
Uno tra i brand più innovativi di tutti i tempi, ha da sempre tenuto conto del punto di vista dell’utente finale coinvolgendolo nella progettazione, che sta al cuore della proposta di valore dell’azienda. Grazie al software di progettazione IKEA ha mostrato a diverse generazioni come definire e creare il proprio stile, semplificando e agevolando il compito. Ha istruito miliardi di persone ad arredare con facilità la propria abitazione, un obiettivo che non smette di inseguire e che aggiorna negli anni anche grazie alla nuova app IKEA Place, che sfrutta la realtà aumentata per “testare” l’arredamento del brand in casa tua virtualmente.
Il noto brand d’abbigliamento ha portato questo concetto su un nuovo livello. Da poco ha sviluppato un programma per poter simulare una conversazione con i clienti e quindi instaurare un “rapporto umano” con i propri interlocutori. Il Chatbot aiuta l’utente indagando prima le sue preferenze in fatto di stile, e successivamente condividendo con lui alcuni outfit per aiutare nell’acquisto, insegnando ad abbinare i vari capi.
La strada che porta un brand a diventare memorabile per il proprio target passa da una customer experience efficace, studiata in modo accurato in ogni suo touchpoint. Ogni marchio ha l’obiettivo di instaurare un legame con i propri clienti e l’apprendimento porta il rapporto tra cliente ed azienda ad un livello più profondo, più intimo. È un dialogo continuo, frutto di scambi di informazioni tra azienda e cliente, che nel suo culmine è in tutto e per tutto simile allo scambio di valore tra due individui, tra due umani che interagendo si arricchiscono vicendevolmente.
Oggi viviamo in un’epoca in cui la tecnologia progredisce più rapidamente rispetto alla velocità di adattamento delle marche. Per la prima volta, i brand sono costretti a reagire agli sviluppi tecnologici piuttosto che esserne all’origine o evolversi di pari passo. Ciò è spiegato dal fatto che le tecnologie più recenti prendono le distanze dalla concezione secondo la quale i brand sono delle identità visive; al contrario siamo indirizzati verso un terreno affascinante ma attualmente sconosciuto: le marche invisibili.
Al giorno d’oggi se si frequenta un istituto di design, viene insegnata la comunicazione visiva: il logo, l’identità, la fotografia, la scelta dei colori e la tipografia. In passato, tali elementi visivi sarebbero stati utilizzati per sviluppare una marca: nuovi concetti visivi, dal cambiamento del logo e dell’illustrazione, all’immagine audace del logo dei giochi olimpici di Londra 2012. Ma oggi la tecnologia ci porta al di là dell’aspetto visivo delle marche. Basti pensare che la fedeltà ad una marca è maggiormente influenzata dall’esperienza che questa offre rispetto alla maniera in cui appare. Uber ne è un esempio. Nel frattempo, il successo di Alexa per Amazon e Siri per Apple ha aperto la strada ad un’esperienza di marca puramente fondata sull’aspetto audio che offre importanti opportunità e sfide.
Se si domandasse ad Alexa di acquistare dell’acqua, probabilmente sceglierebbe la marca con la quale Amazon ha il miglior accordo salvo nostre indicazioni specifiche. Allo stesso modo, con lo sviluppo della domotica, una realtà sempre più attuale, i consumatori dovranno essere particolarmente fedeli a una marca per fare in modo che l’assistente digitale richieda una marca o un fornitore di servizi specifico. In questo universo di consumatori audio, la maniera in cui una marca “ragiona”, esiste e comunica all’interno di un universo vocale è molto più importante della sua apparenza, ed è attraverso il suono che possono continuare a connettersi con il pubblico grazie all’evoluzione della tecnologia. Una complessa identità sonora acquisirà sempre più importanza man mano che avremo la possibilità di parlare alle marche. Siccome i display dei navigatori delle nostre vetture stanno diventando sempre più piccoli, perché non avere dei jingle per i bar e le stazioni di sevizio situati sul nostro itinerario?
Nel 2021, ci saranno 1,8 miliardi di utilizzatori di assistenti digitali vocali su scala mondiale.” Fonte: Traccia, 2016
La salsa barbecue di Stubb è un simpatico esempio di una marca che tenta una prima incursione nel mondo del branding invisibile. Per il servizio Alexa, è stata sviluppata l’applicazione “Ask Stubb” (chiedi a Stubb). Una volta scaricata, i consumatori possono chiedere ad Alexa ricette, ascoltare musica, ottenere consigli e trucchi culinari e, ovviamente, acquistare la salsa in qualsiasi momento. Non è necessario essere un genio del branding per comprendere i vantaggi che tutto questo apporta a Stubb rispetto ai competitor che non hanno servizi audio.
Ma non sbagliatevi! Penso che le marche avranno sempre bisogno di un elemento visivo. L’aspetto di un prodotto nel momento in cui arriva nelle nostre case sarà sempre un fattore fondamentale. Invece, le abitudini dei consumatori vanno al di la dello schermo, il suono diventa sempre più importante quando si tratta di portare alla luce le decisioni di acquisto dei consumatori.
Un mondo di marche invisibili apre nuove possibilità per instaurare un dialogo con i consumatori, ma le possibili minacce sono dietro l’angolo. Qualsiasi sia l’assistente digitale scelto dai consumatori per fare gli acquisti o controllare le proprie case, questo può prendere decisioni importanti a loro nome, per esempio scegliere il gestore dell’elettricità.
Se Nest o qualsiasi altra applicazione intelligente che regola i termostati potesse parlare e proporre accordi migliori, quale gestore di elettricità consiglierebbe? Un’offerta che prende in considerazione l’impatto ambientale avrebbe maggior valore, ai miei occhi, rispetto a una più economica? Questo “cortocircuito” nella comunicazione diretta con le marche in questione potrebbe nascere in qualsiasi categoria di prodotto e avrebbe come conseguenza una situazione di monopolio o una situazione in cui solo alcune marche guadagnerebbero sempre più clienti.
Alcuni esperti hanno addirittura ipotizzato che gli assistenti vocali, come Alexa, marcherebbero le differenze tra le marche. Secondo me, è possibile che succeda proprio il contrario in quanto questo scenario potrebbe aprire il dialogo tra consumatori e marche. La fedeltà a una marca sarà il fattore principale e queste dovranno, fin da subito, ripensare al modo in cui creare esperienze e vivere nel mondo delle marche invisibili.
Sarà compito delle agenzie individuare i mezzi migliori affinché le marche individuali possano esistere in questo nuovo ambiente. In sostanza, bisogna cominciare a pensare alle marche prendendo in considerazione aspetti differenti e bisogna perseguire questo percorso comprendendo come la tecnologia può connettersi con i consumatori, al di la dei mezzi visivi.
Nel futuro si dovrà definire come sfruttare, adattare e personalizzare la tecnologia a favore delle marche. Bisognerà essere l’origine della tecnologia piuttosto che subirla.
L’evoluzione del branding dovrà prendere in considerazione tutti i punti di contatto, tutte le tecnologie. Attualmente, credo che una grandissima fetta dell’industria non ha pienamente coscienza dell’infinità di possibilità che il branding invisibile può offrire. Solo le agenzie capaci di offrire un’offerta completa e perfettamente allineata agli sviluppi tecnologici potranno sopravvivere.
Martin Iselt
Direttore Creativo, CBA Parigi
Il più grande cinema del mondo non ha sale, il più grande negozio del mondo non ha luoghi fisici dove acquistare, il più grande albergo del mondo non possiede neanche una stanza, il più grande servizio di taxi non possiede neanche un’auto etc etc. Questo adagio si sente spesso ultimamente: capire a chi si riferisce è semplice, e accorgersi che davvero è così fa un certo effetto.
Entrando nel dettaglio si scopre che la realtà è più complicata di una frasetta pensata per stupire, sia per quanto riguarda l’origine online del successo (Netflix ha iniziato spedendo dvd via posta), la presenza fisica (Amazon ha aperto a Seattle un negozio-esperimento) e le strategie di acquisizione (Uber ha comprato una startup di tir più per la tecnologia di autoguida che per i camion).
I nuovi giganti cresciuti nell’online, che hanno scompigliato i loro mercati replicando un modello di business fondato sulla non proprietà degli asset, sembrano oggi guardare con interesse all’acquisto di forma di proprietà fisica.
Ma non è per tutti così. In che direzione si stanno muovendo oggi queste aziende?
Amazon e Alibaba stanno investendo nell’acquisto di catene di negozi fisici. Qualche mese fa Amazon ha comprato Whole Foods (specializzato in cibo biologico) mentre Alibaba ha acquistato una partecipazione rilevante di Sun Art Retail, il Wal-Mart cinese. Più che una reale volontà di aggressione del mercato offline, queste strategie sembrano avere valore di “prototipo” verso l’integrazione definitiva delle esperienze on-line e off-line.
Airbnb ha iniziato negli US ad investire in alcuni complessi di appartamenti, costruiti da zero e gestiti secondo delle modalità nuove, perfette ovviamente per un inquilino che sarà host ma che soprattutto è esso stesso un viaggiatore che viaggia molto di frequente.
Uber ha tentato li modello dell’acquisto delle vetture a Singapore, con scarso successo. Sta però investendo in rivoluzionari taxi volanti di cui presumibilmente dovrà detenere il possesso. (Resta poi la domanda su come gestire in futuro un modello asset-free con mezzi privi di guidatore: il proprietario mette la macchina con l’autoguida, lavora per Uber ma stando a casa?)
Per Netflix, data la natura del mondo in cui opera, la dinamica è stata simile ma senza mai lasciare l’immateriale: penetrazione dirompente del mercato e investimento dei guadagni per sfrancarsi dalla dipendenza dai leader dell’intrattenimento: quindi, in questo caso, la produzione di contenuti originali.
Due sono le lezioni da trarre:
Anche nell’offline, dove fino a ieri la definizione dei rapporti di forza e dei servizi era in mano ai grandi attori tradizionali, oggi le regole sono dettate ogni giorno di più dai disruptor asset-light.
Tutti loro sembrano guidati dalla stessa legge che molte aziende grandissime, ora scomparse, hanno invece ignorato: pensa a reinventarti prima di doverti reinventare.
Alberto Gianera
Strategic Designer
Referenze:
© CBA DESIGN 2022 – CB’A Srl 05940620965
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