Ci sono opere che vengono considerate intoccabili, ritenute icone stesse dell’arte a cui appartengono. Immaginiamo la Mona Lisa di Leonardo da Vinci o la Nona Sinfonia di Beethoven. Eppure, ogni tanto, c’è qualcuno che va controtendenza, criticando o addirittura irridendo quello che unanimemente viene considerato un capolavoro. Se in ambito pittorico ci aveva pensato Marcel Duchamp a disegnare i baffi alla Gioconda, sul versante tipografico è Erik Spiekermann a prendere le distanze dal carattere simbolo della tipografia moderna: l’Helvetica.
Succede a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Erik Spiekermann, designer e tipografo tedesco, sostiene che l’Helvetica sia noioso e insipido. Una vera eresia per i molti sostenitori del carattere svizzero, che tuttavia non fanno vacillare l’idea di Spiekermann. Il designer tedesco pensa sia giunta ora di cambiare qualcosa nel mondo della tipografia e decide di lavorare ad un carattere che sia, usando le sue stesse parole, la “completa antitesi dell’Helvetica”.
L’occasione nasce per un lavoro commissionato dalla Deutsche Bundespost, l’ufficio postale della Germania Ovest, che nel 1985 chiede di realizzare un carattere proprietario. Il progetto è interessante, ma allo stesso tempo molto difficile. Il carattere dovrà essere estremamente leggibile e di facile applicazione, sia su supporti di grandi dimensioni, come i veicoli in movimento, che su spazi molto ridotti, come i francobolli. Oltretutto verrà potenzialmente stampato in maniera veloce su carte economiche, con irregolarità e scarsa resa dell’inchiostro.
Spiekermann si mette al lavoro materializzando la sua visione tipografica: unire la grazia delle lettere calligrafiche alla funzionalità dei caratteri lineari. L’ottimizzazione dello spazio lo porta a ridurre al minimo le ascendenti e le discendenti, con un disegno delle lettere piuttosto compatto. Il carattere umanista progettato da Spiekermann, chiamato inizialmente PT55, permette di scrivere tanto testo in poco spazio, in maniera chiara, elegante e distintiva.
A differenza dell’Helvetica, il PT 55 non lascia spazio ad ambiguità tra le lettere o i numeri. Emblematico è il caso di tre caratteri alfanumerici, “1Il” che spesso possono generare confusione. Le lettere e i numeri di Spiekermann, invece, mantengono una netta distinguibilità.
Sfortunatamente il progetto non va in porto con la Deutsche Bundespost, ma Spiekermann è convinto delle potenzialità del suo carattere. Ci lavora ancora, in maniera autonoma, migliorandolo e ampliandolo, per includere più pesi e stili. Decide di chiamarlo Meta, prendendo spunto dal suo stesso studio, il MetaDesign. Nel 1991 il carattere viene rilasciato dalla neonata libreria FontFont con il nome completo FF Meta. Il successo è immediato e travalica i confini nazionali.
L’estetica pulita, allegra e distintiva, unita alla capacità di essere utile in svariati contesti, lo rendono uno dei caratteri più usati negli anni ’90. Da Herman Miller, azienda americana di arredo per l’ufficio a The Weather Channel, passando per Endemol, Mozilla, Imperial College London e Fort Wayne International Airport, solo per citare alcuni dei brand che nel corso degli anni adottano il Meta.
Lo stesso Spiekermann lo utilizza come carattere guida per il suo FontBook, una raccolta di tutti i principali caratteri in commercio, da molti considerato la Bibbia dei font
La crescente popolarità spinge il suo autore a lavoraci ancora, ampliandone i pesi e sviluppando un set di caratteri che copre ben 110 lingue diverse. Questo permette al Meta Greek, la variante greca del Meta, di essere adottato nel 2010 come carattere ufficiale del governo greco.
Oggi il Meta fa parte di una super famiglia di caratteri, che include tra gli altri il Meta Serif, versione con le grazie del carattere originale. Anche in questo caso l’estrema leggibilità la fa da padrona, restituendo un carattere chiaro ed elegante, usato da CBA nella progettazione dell’identità visiva di Antonio Amato.
Il successo del Meta contribuisce in maniera significativa alla celebrità di Spiekermann, ritenuto oggi una delle figure più autorevoli in campo tipografico. La sua creazione viene selezionata anche dal MOMA di New York, che lo inserisce tra i 23 caratteri più rappresentativi dell’era digitale. Eppure, nonostante i tanti riconoscimenti, l’appellativo più comune che viene attribuito al Meta è “l’Helvetica degli anni ’90”, un complimento che probabilmente non suona come tale, per il suo creatore.
Giuseppe Mascia, Creative Director at CBA