Trappole per inchiostro

Una tecnica nata per risolvere problemi di stampa e non essere notata, oggi diventa territorio di esplorazione. Le ink trap, o trappole per inchiostro, vengono analizzate nei loro utilizzi più famosi e iconici del passato, fino agli usi più sperimentali ed espressivi di oggi.
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“Che strana questa “M”… sembra rotta”. A chi non è mai capitato di vedere lettere con questi strani intagli e di pensare che fossero errori? E invece no, questi intagli nelle lettere sono voluti e non sono affatto degli errori. Si chiamano ink trap (letteralmente, trappole per inchiostro) e sono uno degli esempi più pratici della concretezza del type design.

La loro funzione tecnica è di migliorare la resa di stampa delle lettere in condizioni non ottimali, quali l’alta velocità di produzione o la stampa su carta di scarsa qualità. Le ink trap vengono applicate negli angoli acuti delle lettere (come questa “M” appunto, nelle giunzioni angolari dei suoi tratti), ovvero in quei punti dove l’inchiostro si concentra maggiormente e tende ad accumularsi, deformando la lettera.

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Le ink trap servono a compensare questo fenomeno, creando un intaglio nella lettera che permette all’inchiostro di fluire in esso (mettendolo in trappola, appunto) e restituendo una lettera più simile a quella che si intendeva stampare.

Ma quando è cominciata questa pratica? A chi è venuta in mente? Difficile rispondere con certezza assoluta. Il modo migliore per capire questo metodo è analizzare alcuni casi, partendo dagli esempi più famosi, per arrivare alle pratiche più sperimentali di oggi.

Uno degli casi più conosciuti è il Bell Centennial, disegnato da Mattew Carter dal 1976 su commissione di AT&T. La richiesta era di progettare un nuovo carattere a partire dal loro leggendario Bell Gothic. L’obiettivo, quello di risolvere i problemi che quest‘ultimo causava nella stampa degli elenchi del telefono. Il Bell Gothic funzionava piuttosto bene, finché gli elenchi venivano stampati in letterpress, con le macchine Linotype. Ma quando la composizione delle pagine passò alla tecnologia della fotocomposizione, tutto cambiò. Questo nuovo metodo, con una successiva stampa più veloce e quindi meno precisa, metteva in luce il fatto che il Bell Gothic non fosse disegnato per quella tecnologia. Per un po’ di tempo Carter adattò il Bell Gothic correggendo alcuni particolari e modificando il processo di stampa. Ma tutto ciò rese evidente la necessità di un carattere progettato per questa nuova tecnologia, molto più veloce e meno precisa. Nasce così il Bell Centennial, che come da richiesta riprende il disegno del Bell Gothic, modificando i tratti e le aperture delle lettere, ma sopratutto incorporando le ink trap.

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Nonostante il Bell Centennial sia uno degli esempi più famosi, non è da considerarsi il primo carattere sviluppato con questa tecnica. Precedentemente già altri type designer avevano riscontrato problematiche analoghe, studiando soluzioni per risolverle.
Uno di questi è Francesco Simoncini, nostro conterraneo, che sul finire degli anni ‘50 studia le criticità causate dalla fotocomposizione che lo portano a creare un metodo brevettato ufficialmente nel 1963: il Metodo Simoncini.

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Con questo metodo, anche Simoncini si cimenta nel disegno di una carattere per la stampa di elenchi telefonici e negli anni ’60 disegna per SEAT Pagine Gialle il Delia, un carattere piuttosto sperimentale per l’epoca, che utilizza ampiamente il concetto di ink trap e tratti stencil.

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Rimanendo nell’ambito degli elenchi telefonici, sul finire degli anni ’90 SEAT Pagine Gialle commissiona a Piero De Macchi un nuovo carattere, più moderno ed efficace, in grado di salvare spazio verticale in stampa, mantenendo un’alta leggibilità a corpi piccoli. Nasce così il Nomina, un lavoro gigantesco durato diversi anni, che porta alla produzione di 36 serie complete di pesi singoli. Anche qui, in grande evidenza, l’utilizzo di ink trap.

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Ma questa tecnologia non ha interessato solo l’ambito della stampa. Anche la riproduzione delle lettere sui vecchi schermi televisivi produceva problematiche analoghe. In questo caso, le trappole non riguardano l’inchiostro ma la luce. Per questo prendono il nome di light trap. L’idea di base è la medesima, poiché in questi schermi l’immagine sfoca a causa dell’effetto di sfumatura luminosa, che tende a ingrandire i tratti bianchi, e delle distorsioni delle linee di scansione, che tendono a enfatizzare i tratti orizzontali.
La prima soluzione a questo problema viene dalla rete televisiva americana CBS, che fino a quel momento utilizzava il News Gothic per la comunicazione a schermo. Per migliorarlo, il designer Rudi Baas, presso il Dipartimento di Arti Grafiche della CBS, dà vita ad una variante dove compaiono le light trap, ovvero intagli tondi negli angoli delle lettere. Questo progetto prende il nome di CBS News 36.

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Recentemente, il designer Nick Sherman ha creato un revival di questo carattere chiamandolo Rudi, in onore del designer che ha creato per primo questa intelligente soluzione.

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Questo contesto di ottimizzazione della forma delle lettere tramite intagli ha portato a progetti molto sperimentali come il Minuscule di Thomas Huot-Marchand, disegnato nei primi anni 2000. La sua creazione è ispirata dalle teorie dell’oftalmologo Emile Javal e dalla sua “teoria delle stampe compatte”.

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Il carattere è disponibile in cinque versioni, tutte ottimizzate per dimensioni di 6, 5, 4, 3 e 2 punti. Il design evolve progressivamente man mano che le dimensioni diminuiscono: l’interlinea e l’altezza delle minuscole aumenta, il contrasto diminuisce, compaiono le ink trap e il design viene semplificato. La versione per i 2 punti stampa è la più particolare: a questa dimensione, secondo Javal, prestiamo maggiore attenzione alla differenza delle forme delle lettere. Di conseguenza, la particolarità di ciascun segno viene esagerata e i dettagli secondari vengono eliminati. Le controforme delle minuscole si squadrano, fino alla o, che diventa un quadrato di controforma pura.

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Il fascino delle ink trap rimane intatto ancora oggi, benché ormai la stampa sia quasi sempre ad alta definizione e gli schermi abbiano una qualità visiva ottima, rendendole di fatto inutili a livello tecnico. Ma la personalità che donano alle lettere è innegabile: molti designer decidono di progettare caratteri con ink trap molto visibili e di forme particolari. Vengono perfino utilizzate più spesso per i tagli da titolazione, quindi per un utilizzo a corpi grandi, dove sarebbero tecnicamente ancor più inutili, ma dove possono essere più evidenti e visibili.

In questo contesto è possibile citare diversi esempi, come ad esempio il Brevier di Riccardo Olocco per CAST. Brevier è il nome che veniva dato dagli stampatori ai caratteri per gli 8 punti stampa. È caratterizzato da un disegno all’apparenza geometrico, ma che nasconde caratteristiche rinascimentali.

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Il Whyte Inktrap, progettato da Fabian Harb per Dinamo, è la versione con ink trap del celebre Whyte, uno dei grotteschi di punta della type foundry. Dello stesso carattere è stata sviluppata anche una versione variable, dove le ink trap diventano un parametro regolabile da 0 (assenti), al valore 1 (molto pronunciate).

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La personalità audace del carattere è stata adottata anche da Cba per lo sviluppo dell’identità visiva di Lynfa, la nuova Corporate Academy del Gruppo Sella.

Un altro uso interessante delle ink trap si può apprezzare nel carattere AVU Custom, progettato da Heavyweight Type per l’Accademia delle Belle Arti di Praga. La nuova identità prevedeva la progettazione di un carattere che mostrasse la forma del cuore, già presente nel logo precedente, e la incorporasse nella nuova comunicazione, a partire dal logo.

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La soluzione è stata di includere la forma del cuore come ink trap all’interno delle lettere, in modo da non alterare eccessivamente la neutralità del carattere di base (una variante dell’Helvetica).

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Oggi più che mai le ink trap rappresentano un territorio di sfida per i designer, che grazie a questa tecnica possono sbizzarrirsi e trovare nuove soluzioni, più o meno sperimentali, e, perché no, anche a divertirsi, nascondendo qualche easter egg, come dimostra Collletttivo con Sneaky Times.

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Davide Molinari, Senior Visual Designer

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