A maggio 2019, usciva il nostro report IMG, Direct to Consumer revolution, dedicato ai brand DTC, player nativi digitali che, disintermediando la catena del valore, ridefiniscono i confini di alcune industry specifiche.
Nel frattempo molte cose sono cambiate, e il fenomeno DTC, accelerato dalla digitalizzazione raggiunta durante la pandemia, ha influenzato le regole del gioco in diversi settori, anche in Italia.
Basti pensare a quello che è successo qui da noi negli ultimi sei mesi:
- Granarolo ha aperto il suo primo canale digitale
- Campari ha acquisito il 49% di Tannico
- Lancome ha inaugurato lo streaming e-commerce direttamente su Livescale
Il motivo per cui anche gli established brands fanno i loro non più timidi passi nel DTC è riconducibile a tre obiettivi fondamentali.
- Tattica:Per chi ha una rete di distribuzione propria, capillare sul territorio, attivare la modalità DTC permette di utilizzare al meglio la logistica tradizionale. Questo può valere soprattutto per le reti dei prodotti FMCG freschi, che avvalendosi della logistica quotidiana relativa ai super, quindi estremamente capillare, sono in grado di gestire la distribuzione relativa ad un e-commerce e allo stesso tempo distribuire i costi relativi alla logistica stessa.
- Sopravvivenza:Molte aziende non sopravviveranno senza costruire un modello di business data-driven. Questo vuol dire solo in parte raccogliere dati e utilizzarli per segmentare, targetizzare e realizzare pricing adeguati. Ma introduce la possibilità di costruire relazioni personalizzate, intime e di lungo periodo per restituire più valore al consumatore.
- Evoluzione: Lavorare sul DTC, vuol dire accelerare la “servitization”, compiendo il passaggio obbligato da prodotto a soluzione olistica attorno al job to be done. Ed ecco che Lancome non vende più un rossetto ma una modalità di empowerment. Tannico non vende vino, ma il farti sentire un sommelier. E questo avviene attraverso il servizio, abilitato però dallo storytelling del contenuto e da una piattaforma digitale integrata e seamless.
Una nuova baseline da cui è difficile emergere
Tuttavia, queste tre leve, decisamente cruciali per le realtà consolidate, non sono più la novità per i consumatori, che nel frattempo hanno nuove aspettative: si è alzata l’asticella, tanto che ora il pubblico non solo vuole, ma pretende, un customer care impeccabile, ottimo design, esperienze wow e senza intoppi, un sito e dei social pieni zeppi di contenuti di intrattenimento, supportati da una community coinvolgente.
In tanti, soprattutto a livello internazionale, hanno visto questo momento storico come un’onda da cavalcare, piena di opportunità per differenziarsi sul mercato. Il risultato però è stato esattamente l’opposto. Ovvero un’omologazione in termini di proposta data dal voler seguire “le leggi del DTC” alla lettera: presa una tipologia di prodotto, come lo spazzolino elettrico, possiamo vedere come il mercato si stia saturando di prodotti uguali, con lo stesso modello di business, con lo stesso design, la stessa strategia di comunicazione e tone of voice. Stiamo assistendo ad un appiattimento dell’offerta che il consumatore fatica a navigare perchè tutti i brand rispondono esattamente nello stesso modo allo stesso bisogno.
Stiamo inoltre assistendo ad un aumento del CPA (cost per acquisition) proprio perché il fortissimo modello di comunicazione sui social adottato in prima battuta dai DTC è diventato il canale principale di vendita della maggior parte dei DTC stessi, portando i costi alle stelle.
Ma non solo: i DTC hanno nel loro DNA una risposta specifica ad un’esigenza di un target nicchia. Questa “ossessione” verso una nicchia specifica, che per diverso tempo ha denotato la forza e il successo di questi brand, oggi sta iniziando a scricchiolare: ormai la nicchia è stata raggiunta, se non dal brand stesso da uno dei competitor, e la crescita in termini di volumi è diventata difficilissima da raggiungere, se non con nuove strategie di espansione di portfolio e/o servizi.
Quale valore aggiunto possono portare i big brands all’interno di questo mercato ormai saturo?
L’ingresso dei big brand all’interno di questo mercato potrebbe smuovere le acque e portare novità interessanti in un momento di forte difficoltà per queste piccole realtà:
- 1 – La differenziazione dell’offerta. In un mercato in cui tutti parlano ai Millennials, i big brands hanno la possibilità, grazie alla loro capillarità e alla loro diffusione, di creare nuove risposte a bisogni diversi di diversi target. Anche per nicchie che sono state dimenticate da tempo, come ad esempio le generazioni più grandi o la popolazione della provincia. Non un’unica nicchia di riferimento ma una costellazione di nicchie e di bisogni che possono trovare risposta in un unico brand.
- 2 – Da purpose ad azione. Ogni DTC nasce con una scelta etica sociale o ambientale nel proprio DNA, ma spesso questo non basta per portare risultati concreti. I grandi brand, al contrario dei piccoli DTC, hanno la forza di fare la differenza, di avere un forte impatto, non solo con azioni concrete ma anche come promoter di idee forti in grado di influenzare e muovere la massa.
Un nuovo nemico comune
MA… C’è ancora un grande MA.
Entrambi DTC e big brands si troveranno a breve a combattere un nemico comune…
Aver eliminato i vecchi intermediari non è più abbastanza. Ne stanno nascendo di nuovi che ruberanno il posto privilegiato di contatto diretto con i consumatori. Basta pensare alla crescita inarrestabile del voice shopping.
In un sempre più vicino futuro, infatti, saranno gli assistenti virtuali a scegliere per noi, basandosi sulle nostre abitudini d’acquisto ma spingendo molto anche i brand proprietari o quelli che saranno disposti a pagare per essere automaticamente scelti. Questo porterà alla nascita dell’incidental loyalty ovvero, la nascita di una fedeltà legata a scelte di cui l’utente non ha il controllo.
Insomma, la lotta per la disintermediazione continua..