Questa storia inizia nei primi anni ‘30 del Novecento, un periodo complicato e ricco di contrasti. Grandi traguardi scientifici, come la scoperta del neutrone, vengono eclissati dall’avvicinarsi di una nuova guerra, che avrebbe cambiato il mondo. Sono anni importanti anche in ambito tipografico, nascono infatti pietre miliari come il Gill Sans di Eric Gill, il Times New Roman di Stanley Morison e il protagonista di questo racconto: l’Albertus di Berthold Wolpe.
Per capire la genesi di questo carattere è utile inquadrare il suo creatore, Berthold Wolpe, uno dei designer più influenti del suo tempo. Nato in Germania, diventa allievo di Rudolph Koch (autore di famosi caratteri come il Kabel), con il quale coltiva la sua passione per le lettere e l’incisione. Costretto a emigrare per via delle sue origini ebree, è a Londra che Wolpe trova la sua dimensione come graphic e type designer. In particolare, è l’incontro con Stanley Morison di Monotype a sancirne la consacrazione. Morison nota le incisioni fatte da Wolpe e lo convince a trasformarle in un carattere per la stampa. Il resto è storia.
L’Albertus (da Albertus Magnus, frate dominicano e filosofo tedesco) è un carattere con una forte personalità, le cui forme, proporzioni e contrasti derivano chiaramente dall’incisione e dal rigore tedesco, ma riescono a comunicare anche un certo stile e allure britannico. Come ricorda Jonathan Pelham (per molti anni collega di Wolfe), l’Albertus riesce a far convivere diverse identità dentro di sè: moderno e vintage, rigidamente formale ma vagamente eccentrico, folcloristico ma allo stesso tempo empirico.
Delle caratteristiche uniche di questo carattere se ne innamora la stessa Londra, patria adottiva di Wolpe, che lo utilizza ancora oggi nello stemma e nella segnaletica stradale della City e del distretto di Lambeth (dove è vissuto Wolpe fino alla sua morte, nel 1989).
Rimanendo in terra inglese, l’Albertus è riuscito a stregare anche la squadra di calcio del Liverpool, che utilizza una versione lievemente modificata del carattere per il suo stemma e per il famoso adagio “You’ll Never Walk Alone”.
Tuttavia è nelle copertine dei libri della casa editrice Faber and Faber che l’Albertus trova una delle sue manifestazioni più iconiche. Wolpe collabora con loro per quasi 40 anni, progettando più di 1500 copertine. Alcune sono realizzate con lettering a fatti a mano, altre utilizzano caratteri come Pegasus, Fanfare e Tempest (tutti disegnati dallo stesso Wolpe), mentre molte, moltissime altre sono realizzate con l’Albertus. Questo permette al carattere di diventare un vero e proprio manifesto di stile britannico, riconoscibile ancora oggi. Donna Payne, attuale direttrice creativa di Faber, ricorda che quando fu assunta, l’Albertus aveva quasi il suo “ufficio personale” all’interno della casa editrice.
Anche in ambito televisivo il carattere diventa un’icona cult. La serie fantapolitica “The Prisoner” utilizza una versione dell’Albertus non solo per i titoli, ma anche per le applicazioni stampate all’interno delle scene, come poster, segnaletica e packaging.
Tra i registi cinematografici è invece John Carpenter ad innamorarsene, adottandolo come carattere per i titoli di film iconici, come “La Cosa” e “Fuga da Los Angeles”.
Anche nella musica l’Albertus lascia la sua impronta, apparendo in molte cover di gruppi celebri come Coldplay, New Order, The Smiths e, più recentemente, Måneskin, che utilizzano una versione custom del carattere.
Rimanendo in ambito musicale, l’Albertus viene utilizzato per la mostra “Davide Bowie is“, progettata da Jonathan Barnbrook e Jonathan Abbott per il V&A Museum. La scelta non è casuale. Abbott sottolinea come la natura del carattere, tra moderno e tradizionale, sans e serif, lo ponga in una “sdrucciolevole via di mezzo” creativa, che perfettamente rappresenta Bowie, la sua arte, il suo lavoro e il suo impatto culturale.
I dualismi che riesce ad esprimere e le diverse anime che fanno parte della sua natura elevano l’Albertus ad uno status iconico, ma al tempo stesso alla portata di tutti.
Ne sono un esempio, in Italia, le confezioni delle popolari caramelle alla liquirizia “Pasticche del Re Sole”, dove il carattere campeggia affiancato dall’effige di Luigi XIV.
Per celebrare questo capolavoro e altri caratteri di Berthold Wolpe, nel 2017 il type designer Toshi Omagari ha ridisegnato e digitalizzato per Monotype una serie di caratteri di Wolpe, tra cui l’Albertus, che rinasce in una nuova veste, l’Albertus Nova, con un ampio set di pesi e alternative stilistiche.
In particolare, riguardo questa nuova versione dell’Albertus, è da segnalare la presenza di diverse lettere alternative, riprese dalle incisioni originali di Wolpe e della “e” minuscola onciale presente nella serie televisiva “The Prisoner”. Un interessante easter egg che rimarca la sensibilità di Omagari nel tenere conto non solo della genesi storica del carattere, ma anche delle evoluzioni stilistiche che ha avuto nel tempo.
Non è semplice trovare una risposta al perché questo carattere funzioni ancora così bene dopo tutti questi anni, rimanendo sempre iconico e rilevante. Una possibile spiegazione la fornisce sempre Jonathan Abbott: “Quando un carattere tipografico è di moda per un breve periodo, anni dopo può sembrare molto antiquato. Ma poiché Albertus è un carattere storico, in qualche modo trascende le tendenze, non essendo né dentro né fuori. Forse questo è un indizio della sua aura senza tempo.”
Una valida argomentazione, che trova ulteriore significato nelle parole dello stesso Wolpe:
“La tipografia, dopo tutto, è solo un miscela esplosiva di leggibilità e buon senso”.
Davide Molinari, Senior Visual Designer