In un mondo caratterizzato da un ritmo frenetico, dove i cambiamenti sono continui e le innovazioni tecnologiche sempre più sorprendenti, le organizzazioni si trovano a dover fronteggiare sfide enormi. La nascita di nuove generazioni di consumatori, con esigenze e comportamenti differenti, pone le aziende davanti a scenari inediti, generando stress e necessità di adattamento costante.

Di fronte a queste sfide, le organizzazioni si interrogano profondamente sul proprio futuro. C’è un crescente bisogno di immaginare uno sviluppo sostenibile e vantaggioso, che possa guidare le aziende attraverso le incertezze di un mercato in continua evoluzione. Infatti, man mano che l’offerta di prodotti e servizi si amplia, più complesso e complicato da gestire diventa il brand.

L’IMPORTANZA DELLA BRAND ARCHITECTURE

In questo contesto, una disciplina tecnica e strategica come la Brand Architecture assume un ruolo chiave. La definizione o l’evoluzione di una brand architecture non è solo una questione di marketing, ma diventa un elemento fondamentale per la strategia aziendale a lungo termineNel nostro ruolo di esperti di branding, collaboriamo quotidianamente sia con start-up emergenti che con grandi holding. Il nostro obiettivo è costruire insieme un futuro chiaro e visionario, che sappia interpretare e anticipare le tendenze del mercato.

Prima di raccontarvi alcuni dei nostri casi studio, è utile delineare i principali modelli di Brand Architecture, in modo rapido ma esaustivo.

Branded House. L’unione fa la forza

Nel modello ‘Branded House’, l’organizzazione utilizza un unico brand, che si declina con descriptor diversi per identificare tutti i suoi prodotti o servizi. Questo approccio offre coerenza e facilità di gestione del marchio, rinforza il riconoscimento del brand principale e consente economie di scala in termini di marketing e comunicazione.

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Alcuni PRO e CONTRO di questa impostazione:
  • Comunicazione
    PRO: possibilità di sfruttare l’immagine e la notorietà del brand principale; minori costi di comunicazione perché condivisi
    CONTRO:
    il rischio di danni reputazionali ad un sub-brand potrebbe estendersi al brand principale

  • Commerciale
    PRO: forma economie di scala, grazie agli effort economici concentrati su un unico brand
    CONTRO: l’acquisizione di nuovi brand obbliga il rebranding e la perdita dell’equity 

  • Internal Culture
    PRO: forte senso di appartenenza alla marca da parte dei dipendenti; l’esistenza di un marchio forte facilita la talent attraction

House of Brands. La forza della molteplicità

Contrariamente, nel modello ‘House of Brands’, l’organizzazione gestisce una gamma di marchi completamente indipendenti. Questo permette una maggiore flessibilità nel posizionamento di ogni singolo brand, una migliore segmentazione del mercato e la possibilità di rivolgersi a diversi pubblici senza confondere l’identità di ciascun marchio.

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Alcuni PRO e CONTRO di questa impostazione:
  • Comunicazione
    PRO: libertà e autonomia nell’adozione di strategie di comunicazione personalizzate
    CONTRO: rischio di perdere coerenza nella narrazione del gruppo, i cui messaggi variano per ogni sub-brand

  • Commerciale
    PRO: maggiore diversificazione delle opportunità di business e investimento
    CONTRO: mancanza di riconoscibilità del gruppo/marchio principale; vede maggiori effort organizzativi ed economici.

  • Internal Culture
    PRO: ogni sub-brand può sviluppare una cultura interna distintiva
    CONTRO: il senso di appartenenza al gruppo richiede più effort; la condivisione di valori e best practices deve trovare un minimo comun denominatore

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Dato che ogni brand è caratterizzato da strutture uniche e quindi da reazioni al cambiamento distinte, non sempre i due modelli sopraelencati forniscono soluzioni adeguate. C’è dunque un’area in cui la brand architecture offre modelli differenti, come ad esempio il modello Hybrid‘ o quello Endorsed

Ed è proprio qui, che per nostra esperienza, si concentrano la maggior parte dei dubbi e delle riflessioni.

Ma quando la definizione strategica della brand architecture diventa fondamentale?
Alcuni nostri casi studio.

MERGERS & ACQUISITIONS, IL CASO DI JOIVY

In seguito all’acquisizione di Altido, ChezNestor e Open, DoveVivo ha deciso di unificare i diversi operatori sotto lo stesso brand: Joivy. Questa unione, guidata dalla nostra consulenza strategica, ha reso necessario un passaggio graduale: un primo step ha visto il mantenimento dei brand acquisiti tramite la giustapposizione di un endorsement “by Joivy” (‘Endorsed Brands’), per poi arrivare alla completa fusione e all’abbandono definitivo delle precedenti realtà, in favore di un unico brand internazionale di soluzioni di living.

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Con il cliente abbiamo successivamente dovuto intraprendere un secondo deep dive, per dare vita alla divisione interna di intermediazione immobiliare di Joivy.

Il lancio del nuovo brand e della sua divisione Investments erano previsti nello stesso periodo, per cui è stato essenziale mantenere un forte legame visivo tra le due realtà. Tutto ciò ci ha portato ad applicare per Joivy un modello di Branded House, mantenendo una forte consistency visiva, per permettere alla corporate di creare awareness efficacemente e di solidificare la propria equity.

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APERTURA VERSO NUOVI RAMI DI BUSINESS, IL CASO DI FABRICK E LYNFA

Apertura, innovazione, intraprendenza, crescita: queste sono le radici valoriali del gruppo Sella, che sono state tradotte e rinnovate, negli ultimi anni, attraverso la nascita di due nuove realtà: Lynfa, la Corporate Academy e Fabrick, la piattaforma di open banking.

Ci siamo chiesti insieme a loro quale potesse essere la giusta linea guida per indirizzare il percorso di creazione di questi due nuovi brand: tendere verso una Branded House, mantenendo quindi gli asset visivi e verbali del Gruppo o distaccarsi verso un modello di House of Brands per esaltare il loro DNA di valori e la loro componente di “rottura” innovativa?

In entrambi i casi la scelta più coraggiosa, quella di allontanarsi dal mother brand, è stata anche la più strategica, perchè è quella che ha permesso ai due brand di essere attrattivi e aperti a nuovi talenti (Lynfa) e a collaborazioni tra diversi player finanziari (Fabrick).

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ESPANSIONE E SOVRAPPOSIZIONE, IL CASO DI GI GROUP

Da tanti anni siamo partner di Gi Group, multinazionale italiana che opera nel settore del mercato del lavoro. Abbiamo visto questa realtà crescere ed espandersi, aprendosi a nuovi mercati, acquisendo nuovi player e incubando nuove realtà. Con questo evolversi, il brand consumer Gi Group non era più in grado di tenere insieme tutti questi player al suo interno.

Era necessario pensare ad una brand architecture che prevedesse un livello superiore, capace di fare da garante di tutti gli attori, creare ordine ed eliminare questa sovrapposizione nell’immaginario comune tra brand consumer e capogruppo. Abbiamo così accompagnato il cliente nella definizione del posizionamento e della piattaforma strategica di Gi Group Holding.

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Ecco come si concretizza l’endorsement “Gi Group Holding” all’interno dei vari loghi delle società.

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Perché le fondamenta fanno la differenza

In conclusione, è fondamentale enfatizzare l’importanza di una Brand Architecture che sia in perfetta armonia con l’evoluzione e le ambizioni dell’azienda. 

Questa decisione strategica, cruciale per il successo, si basa sull’ascolto attento e sulla comprensione profonda dei bisogni dell’utente, elementi chiave nel nostro lavoro di agenzia di branding. Una Brand Architecture ben congegnata non solo definisce l’identità esterna, ma è anche uno strumento interno di allineamento e coesione

Questo approccio allinea le forze interne verso un obiettivo comune e chiarisce la visione dell’azienda a tutti gli stakeholder, ponendo le basi per una crescita sostenibile e per il successo di ogni prodotto o servizio. In un mondo in costante cambiamento, una Brand Architecture solida e attenta ai bisogni del mercato è un faro che guida le aziende verso un futuro prospero.

Chiara Visconti, Designer in CBA
Alice Gravina, Designer Intern in CBA

In tutti i mercati in cui operiamo uno dei primi driver di crescita è rappresentato dall’innovazione, radicale o incrementale. Sbloccare il potenziale inespresso dei nostri clienti in CBA non vuol dire solo fare branding, creando racconti di marca unici, ma affiancarli in questi processi articolati, per immaginare nuovi prodotti e servizi utili per i consumatori ed evolutivi per il brand che li attua. L’innovazione è anzi essa stessa una delle leve del branding, una chiave per avere un racconto rilevante e contemporaneo. 

Applicare il branding all’innovazione

L’innovazione non nasce dalla pura immaginazione creativa ma comporta un processo articolato, nella misura in cui dobbiamo tenere conto di molti aspetti in relazione a ciò che dobbiamo creare o innovare. A questo approccio di innovazione guidata dal branding siamo affezionati, non solo per una ossessione analitica ma perché si rivela, progetto dopo progetto, l’unico modo di creare innovazione utile al brand e ai consumatori [a cui si rivolge]. Questi sono gli elementi di cui non possiamo fare a meno in CBA quando parliamo di innovazione:

  • La comprensione della marca. Dobbiamo conoscere ogni cliente nel modo più intimo e profondo, partendo dalla sua storia, collezionando le reason to believe che sostengono la promessa di marca, e capendo o ridefinendo la direzione in cui l’azienda vuole andare, quindi la sua visione.
  • La conoscenza del consumatore o del target per cui innoviamo. Grazie alle competenze sociologiche, psicologiche ed economiche di Cba siamo in grado di approfondire abitudini di consumo, opinioni e percepito dei consumatori, di intercettarli con metodologie diverse, qualitative e quantitative. 
  • Lo studio dei macro-trend del settore e della loro declinazione nel mercato nazionale di destinazione. Siamo costantemente immersi nei trend report, negli articoli e nelle novità che si presentano nei diversi settori di business in cui facciamo consulenza. Questi però devono essere riscontrati e analizzati nel contesto italiano, o in quello in cui l’innovazione troverà sbocco, perché ogni mercato ha le sue tempistiche e ricettività specifiche per vedere affermarsi i trend che nascono altrove (spesso oltre oceano).
  • I momenti di co-creazione con il target e con chi riteniamo debba avere voce in capitolo per innovare in modo credibile. Spesso è il cliente stesso che, prendendo parte ai nostri workshop, viene guidato in sessioni di co-creazione che progettiamo in ogni dettaglio e facilitiamo. Quando siamo chiamati ad innovare ci teniamo a coinvolgere il target nel momento stesso della generazione delle idee, strutturando esercizi, stimoli ed un perimetro creativo che permetta alle idee di fluire liberamente e senza inibizioni e che restituisca risultati rilevanti per l’utilizzatore finale. 
  • Il contributo degli esperti per non essere naïve. [Facciamo tante cose diverse ma non siamo tuttologi quindi] ci teniamo ad ascoltare la voce dei professionisti del settore in cui stiamo facendo innovazione: dal FMCG fino alla manifattura, passando per la ristorazione, attingiamo al nostro network globale per coinvolgere esperti di settore e mettere alla prova i concept di innovazione o coinvolgendoli direttamente durante la co-creation.
  • La validazione del risultato con il target destinatario del prodotto/servizio. Dopo le sessioni di co-creazioni le idee prendono sostanza passando attraverso una fase di implementazione/prototipazioni che deve fare i conti con la fattibilità del progetto e la corretta esecuzione di quello che è un solo brief teorico scaturito dalla co-creation. Per questo è necessario ritornare dal target a processo concluso e ri-testare il risultato con prototipi, nella forma più definitiva e completa possibile, identificando non solo la bontà dell’innovazione ma il brand fit e la capacità di inserirsi coerentemente nella promessa di marca che cliente ha condiviso con noi.
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Ad esempio…

Questo è proprio ciò che è successo quando un brand leader mondiale di formaggi ci ha chiesto di sviluppare un nuovo prodotto per la GDO che avrebbe portato un prodotto storico ed iconico fuori dal frigorifero per andare su altri scaffali, rivolgendosi ad un target specifico più giovane ed estendendo i momenti di consumo per aumentare volumi e rilevanza del prodotto stesso.

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O ancora quando un altro iconico brand di bitter da aperitivo ci ha assegnato il compito di sviluppare una nuova linea di merchandising di alta gamma.

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O quando una corporation di food del settore lattiero caseario ci ha chiesto di portatli fuori dagli uffici e dal day-by-day in una sessione di inspiration e co-creazione legata ai nuovi trend in ambito food and health.

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In tutti questi casi l’approccio del team di Strategy di CBA prevede sempre un processo che parte dalla immersione nel mercato, nei trend e nelle abitudini di acquisto e utilizzo dei consumatori, per arrivare fino alla prototipazione e test di un prodotto nuovo.

Francesco Saviola, Research & Brand Strategist at CBA

CBA si è trovata di recente a lavorare con alcune Fondazioni italiane, collegate a realtà imprenditoriali che collaborano con noi da anni. È stata un’occasione per riflettere sul ruolo del branding all’interno di un settore come quello delle organizzazioni non-profit. Oggi, infatti, sono molte le imprese che decidono di dare il proprio contributo sociale o culturale al territorio su cui svolgono la propria attività attraverso lo strumento della Fondazione. 

Le Fondazioni sono molto diverse tra di loro: possono essere create in memoria di persone importanti per le aziende e i loro fondatori, per sostenere interessi filantropici o per proseguire con altri mezzi gli obiettivi legati al purpose aziendale quando questi non riescono ad essere soddisfatti in un contesto puramente profit e imprenditoriale.

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Sono diversi gli esempi di Fondazioni che riescono ad esprimere al meglio il loro valore per la comunità, sia creando un impatto vero sia perché – non secondario – hanno fatto leva anche sul branding come elemento strategico alla base di una comunicazione efficace. Citiamo Fondazione Feltrinelli, che a Milano svolge il suo lavoro culturale e politico con un palinsesto di eventi e pubblicazioni che muovono sempre dal concetto di archivio storico – bibliotecario che approfondisce e si interroga sul presente, in chiave fortemente progressista e democratica.

In modo del tutto diverso per stile, ma efficace nella sua unicità, possiamo vedere Fondazione Prada che da quando è nata si interroga, in maniera provocatoria, avanguardistica e libera, su quale sia la funzione (e l’utilità) della cultura e dell’arte. Per queste realtà il branding è fondativo di un modo non solo di rappresentarsi, ma anche di pensare e di parlare sempre coerente.

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Nel nostro lavoro con le Fondazioni sappiamo che, così come quando lavoriamo con brand-impresa, dobbiamo studiare (strategy) e creare (design) delle identità di marca in grado di veicolare una Unique Value Proposition, nel caso delle Fondazioni dobbiamo partire da quelli che sono i valori e la mission che i fondatori sentono nel loro profondo. 

CBA ha curato il lavoro di branding di Fondazione Gi Group e il rebranding di Fondazione Marco Fileni. Con questi progetti abbiamo capito che non esiste una sola ricetta per il branding delle Fondazioni. In particolare abbiamo dovuto chiederci quali strade intraprendere, soprattutto a livello di architettura di marca, per chiarire il rapporto fra brand aziendale e brand della Fondazione.

In entrambi i casi abbiamo approfondito la conoscenza delle motivazioni profonde (o reason why) legate alla nascita di queste realtà, per poi disegnare delle identità visive che ne rispecchiassero i valori, tenendo conto anche del variegato target audience a cui sempre ci si rivolge (i beneficiari delle attività da un lato, gli stakeholder territoriali e istituzionali dall’altro).

Fondazione Gi Group si occupa di diverse attività cercando di dare continuamente nuovi significati e possibilità al purpose aziendale del Lavoro Sostenibile: si parte dall’inclusione lavorativa delle persone più fragili, all’attenzione ai giovani NEET, al tema delle disuguaglianze di genere per finire nel mondo dell’arte. CBA ha in questo caso optato per una brand identity che sia a livello cromatico che di linguaggio e tipografia fosse distintiva ma riconducibile all’universo visivo di Gi Group. In questo caso infatti il mondo del lavoro è un fil rouge ben chiaro che vede Fondazione e azienda affiancate nel completare l’una il lavoro dell’altra in modalità diverse. Oltre all’identità visiva abbiamo sviluppato il brand manifesto della Fondazione.

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Diverso è il caso di Fondazione Marco Fileni. CBA lavora da anni con il brand leader in Europa nell’allevamento avicolo ma la fondazione che la famiglia ha creato parte da obiettivi e valori totalmente indipendenti e autonomi.

CBA ha approcciato il rebranding della Fondazione Marco Fileni partendo dalla conoscenza approfondita della persona a cui la fondazione è intitolata, prematuramente scomparsa, attraverso interviste ai suoi amici e famigliari. Da queste interviste è emerso un ritratto chiaro di Marco Fileni, dove i tratti umani della sua personalità sono stati descritti quasi all’unisono, come se si trattasse di un unico racconto corale coordinato. Da qui abbiamo ricavato i valori e la mission della Fondazione che da questo momento ri-fondativo guideranno le attività e le scelte della stessa. Sulla base di queste linee guida CBA ha sviluppato una nuova visual identity fresca e vibrante, con un linguaggio in grado di attirare e comunicare con i più giovani.

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In questi progetti abbiamo sperimentato sul campo quanto sia alto il portato emotivo e ideale che c’è all’interno di queste organizzazioni: realtà che, libere da logiche di mercato, si dedicano a temi alti, universali, dal grande impatto sia sulla società che sulle persone coinvolte.
La chiave per noi sta nell’approccio analitico applicato ad ogni brief unito a quello empatico volto alla vera comprensione delle storie di partenza per poi restituirle nel migliore dei modi, creando brand capaci di trasmettere tutta la complessità e la bellezza del dietro le quinte.

Francesco Saviola, Research & Brand Strategist at CBA

È una delle evoluzioni più recenti nella storia del branding e, al tempo stesso, una delle più stimolanti. La consapevolezza che un brand deve riuscire ad essere rilevante anche verso l’interno e non solo rivolgersi ai clienti e alle platee esterne, ha cambiato le strategie di branding e – più nel profondo – il pensiero strategico alla loro base, portando alla nascita di nuove prassi, nuovi metodi e nuovi strumenti.

In tantissimi casi, oltretutto, l’implementazione di strategie di employer branding porta a una maggiore efficacia delle attività che appartengono alla sfera “tradizionale” del branding, con ricadute positive su fattori cruciali come produttività, customer experience e percezione della marca. 

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Employer branding, quando il brand è fondativo dell'intestazione

Sono temi che abbiamo incontrato di recente anche durante la realizzazione di Employer Love Branding, il progetto editoriale di CBA Italy dedicato all’employer branding e in particolare alla valorizzazione del brand nella relazione fra azienda e lavoratori, lanciato nello scorso mese di febbraio.

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Un viaggio nel quale abbiamo cercato di capire come definire ed elevare il ruolo del brand nell’engagement interno, tentando di comprendere quanto (e come) l’applicazione dei principi propri di un Employer Love Brand possa portare vantaggi reali per le imprese.

Temi di discussione tutt’altro che accademici, in un momento storico in cui le aziende si confrontano quotidianamente con un mercato del lavoro dinamico e difficile, all’interno del quale attrazione, acquisizione e mantenimento dei talenti sono sempre più difficoltosi. L’employer branding diventa un’arma essenziale, all’interno di questo contesto, e lo fa servendosi dei più disparati spazi, linguaggi e strumenti.

Corporate Academy, finalità e vantaggi

Fra i tool più moderni (e sempre più diffusi, in Italia come all’estero) ci sono le Corporate Academy, ovvero quelle strutture di formazione continua, permanenti e interne alle aziende. Ne esistono di tipi diversi, soprattutto dal punto di vista organizzativo. La distinzione è principalmente fra Academy 100% interne, aperte dunque ai soli dipendenti, ed entità che nascono in seno a realtà aziendali ma sono accessibili anche da soggetti esterni, che si tratti di potenziali talenti, fornitori, stakeholder o semplicemente di soggetti interessati alle conoscenze proposte.

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Le Corporate Academy concorrono a diversi obiettivi. Il primo è – naturalmente – quello della formazione specifica, grazie alla diffusione di contenuti di valore, tecnici e non. Accanto a questa c’è la funzione più di posizionamento e awareness nei confronti del mondo esterno all’azienda, soprattutto quando si tratta di academy “open”. Un’accurata progettazione strategica e coerente dell’Academy contribuisce in genere a rafforzare il posizionamento del brand sul mercato di riferimento, oltre a diventare un tassello importante della reputazione aziendale. 

Ma enorme è anche l’impatto che le Academy possono avere sui temi più vicini all’employer branding in senso stretto: dall’avvicinamento fra i valori aziendali e quelli personali dei dipendenti, alla definizione di approcci e metodi codificati, alla creazione di nuovi spazi di condivisione, fino a diventare una leva fortissima di attraction nei confronti di nuovi potenziali talenti e di retention nei confronti di chi vive già la realtà dell’azienda.

Corporate vs Academy: diversi scenari di brand architecture

Ovviamente, dal punto di vista strategico, la progettazione e realizzazione di un’Academy (o University, come a volte vengono chiamate) pone delle questioni di brand architecture, in particolare per ciò che riguarda il rapporto con il brand Corporate. Dalla nostra conoscenza del mercato di riferimento (che ha portato alla finalizzazione di uno dei nostri ultimi lavori, il progetto di branding riguardante Lynfa, la Corporate Academy del Gruppo Sella) abbiamo sintetizzato tre principali scenari

  • Family feeling
  • Hybrid
  • Self Standing

Nel primo, la familiarità fra Academy e Corporate è palese ed esplicita, ed evidenzia una forte coerenza di posizionamento fra il brand e la sua Academy. È il caso, ad esempio, della Mastercard Academy.

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Il secondo è uno scenario ibrido: l’Academy si ritaglia uno spazio di indipendenza rispetto alla Corporate, condividendo identità visiva/testuale o contenuti affrontati, ma mai entrambi. Un tipico esempio del genere è quello di b*right, la corporate university di GiGroup, per la quale abbiamo progettato naming e identità di marca.

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Infine, il terzo approccio è quello in cui l’Academy diventa un soggetto a sé stante, con un posizionamento autonomo, una propria visual identity e una propria comunicazione indipendente. A questo scenario appartiene Go Beyond Academy, la scuola di Sisal dedicata all’innovazione e alla community startup.

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Quale scenario? La scelta è strategica

La scelta fra queste diverse opzioni è, in fin dei conti, tutta una questione di strategia e non può non partire dagli obiettivi dell’azienda, siano essi generali o di employer branding. Laddove, ad esempio, la necessità primaria sia quella di rafforzare il legame valoriale con le persone dell’azienda, il primo scenario sarà il più efficace, sia in termini di brand architecture che nelle scelte contenutistiche e organizzative della Corporate Academy. 

Una scelta ibrida, invece, può rivelarsi più adatta nei casi in cui la necessità di employer branding sia quella di far percepire l’esistenza di “liberi spazi” di condivisione di conoscenze e di innovazione, ma anche di idee e ambizioni personali: uno scenario ideale per far emergere il talento e trovare nuove chiavi per valorizzarlo.

Il terzo scenario, quello Self Standing, essendo quello più svincolato dal mother brand si rivela particolarmente azzeccato (come nel caso di Lynfa) in quelle situazioni in cui l’obiettivo di employer branding sia l’apertura verso l’esterno, ad esempio in termini di talent attraction e acquisition.

Fabio Pisanu, Communication Strategist

Metaverso è senza dubbio uno dei temi caldi del momento, soprattutto per chi si occupa di marketing e comunicazione. Numerose aziende, soprattutto di grandi dimensioni, operanti in diversi settori – dal tech al fashion, dal food alla mobility – stanno investendo sempre più tempo, denaro ed energie nella costruzione della propria presenza in questo nuovo mondo, che viene visto alternativamente come il futuro di Internet o come un’alternativa sognante alla realtà (oppure come entrambe le cose insieme).

COSA è il metaverso?

Il primo passo è stato capire cosa è, nella sua sostanza, il metaverso. La prima importante informazione che abbiamo raccolto è che, ad oggi, non è presente un unico metaverso, ma ne esistono diversi, ognuno con le proprie caratteristiche peculiari. Avremo quindi Decentraland, uno spazio principalmente orientato all’intrattenimento; Bloktopia, che si definisce come “the home of crypto”, con un taglio informativo ed educativo sul tema delle cryptovalute; The Sandbox, la casa degli eventi più esclusivi del metaverso; Horizon Worlds, sviluppato da Meta, la celeberrima evoluzione di Facebook, focalizzata sulle esperienze e sui servizi per le imprese; Roblox, la nuova esplosiva frontiera del gaming, dove le nuove generazioni si incontrano per creare a loro volta nuovi videogiochi.

CBA Insight Metaverso Decentreland
CBA Insight Metaverso Bloktopia
CBA Insight Metaverso Sandbox
CBA Insight Metaverso Horizon world
CBA Insight Metaverso Roblox

Dopo aver studiato e approfondito i principali metaversi e le più disparate definizioni, siamo arrivati a definire il nostro personale perimetro semantico e funzionale del metaverso:

Il metaverso è uno spazio virtuale indeterminato, indipendente e interattivo. 

Indeterminato in quanto definito dall’utente, il cui unico limite di creazione è rappresentato dalla sua creatività.
Indipendente perché anche se nessuno è presente al suo interno, esso continuerà a esistere, in maniera decentralizzata e persistente.
Interattivo grazie alla sua fortissima componente sociale, che permette agli utenti al suo interno di interagire non solo replicando il quotidiano, ma anzi evolvendolo.

INSIGHT N°1:

Il primo fondamentale passo per un brand che voglia approcciarsi al metaverso è individuare la piattaforma più coerente con i propri obiettivi.

PERCHÉ si sta sviluppando?

È quindi ora chiaro cosa è il metaverso e quali sono le sue manifestazioni principali. Ma una cosa ancora non è chiara: per quale motivo è stato creato? Perché il metaverso si sta sviluppando, stimolando così tanto interesse e coinvolgendo così tante persone?

La risposta, come suggerito prima, giace nei bisogni delle persone. Questo nuovo universo digitale, infatti, si sta sviluppando in risposta ad alcuni driver e bisogni che si sono manifestati con forza nei tempi recenti. 

Primo di questi è il tema dell’accessibilità. Il metaverso è un universo senza muri e barriere, e questo permette a chiunque di esprimersi liberamente al proprio interno. Un valore a cui le persone, ed in particolare quelle appartenenti alla GenZ, fanno sempre più attenzione. 

Ciò si sviluppa coerentemente con il loro desiderio di partecipazione attiva alla vita del brand: questi infatti evolvono ogni giorno di più da semplici marchi a community di persone, delle quali gli utenti vogliono sentirsi parte. Questo sentimento di appartenenza ad una community introduce un ulteriore bisogno: quello di aggregazione. In un mondo sconvolto dalla pandemia e dal distanziamento sociale, le dinamiche sociali acquisiscono un ruolo sempre più importante, grazie anche alle nuove tecnologie. Proprio le nuove tecnologie, complice il distanziamento sociale, sono evolute per rispondere ad un bisogno sempre più crescente di collaborazione. Attraverso questa socialità digitale e questo supporto peer-to-peer dato dalle nuove tecnologie, la GenZ viene incontro al suo desiderio di empowerment, valorizzando e costruendo indipendentemente la propria formazione e carriera, scavalcando i tradizionali canoni del mondo del lavoro. Questa generazione, inoltre, ricerca un maggiore livello di interazione con i propri brand di riferimento, che vengono identificati come fari guida nella vita quotidiana on e off line delle persone. Ed è proprio per questo motivo che l’asticella dell’esperienza di acquisto muta ed evolve, diventando sempre più determinante per il successo dei brand. E in questo nuovo contesto, qual è il principale driver di acquisto? L’unicità. Complice l’avvento e l’adozione diffusa degli NFT e della blockchain, le persone valutano sempre più importante l’unicità degli oggetti, posseduti non solo nel mondo fisico ma anche in quello digitale.

INSIGHT N°2:

I bisogni dei nostri consumatori sono da considerarsi come il punto di partenza nella definizione di tutte le attività di marca all’interno del metaverso.

COME sta rispondendo a questi bisogni?

Una volta definito il metaverso e i motivi del suo sviluppo, dobbiamo comprendere attraverso quali modalità i brand già presenti al suo interno stiano cercando di rispondere ai bisogni delle persone. Ne è emersa una correlazione bisogno – azione, che di seguito esemplificheremo attraverso l’uso di case study di brand che si stanno già muovendo in questa direzione:

Accessibilità: Nike: Nike ha ricreato i suoi HQ all’interno dello spazio immersivo 3D di Roblox, valorizzando la mission del brand di trasformare lo sport e il gioco in uno stile di vita. All’interno di Nikeland si può giocare a diversi sport, creare le proprie sfide personali, vestire il proprio avatar con prodotti Nike speciali.

CBA Insight Metaverso Nike

Partecipazione: Socios.com: Socios.com è una piattaforma di fan tokens che collabora con i principali club calcistici europei. Attraverso l’app e l’acquisto di token, infatti, gli utenti potranno influenzare direttamente le decisioni di squadra, vincere e partecipare ad esperienze esclusive e sentirsi ancora più parte del loro club.

CBA Insight Metaverso Messi

Aggregazione: Fortnite: Il celebre rapper americano Travis Scott ha organizzato un concerto all’interno di un luogo virtuale, Fortnite, uno dei videogame online più giocati al mondo. Durante il concerto dell’artista, i giocatori potevano interagire tra loro e vivere in prima persona l’esperienza. L’evento ha avuto una risonanza inaudita, contando ben 12 milioni di persone connesse sulle varie piattaforme.

CBA Insight Metaverso Fortnite

Collaborazione: Meta’s Horizon Workrooms: Workrooms è uno strumento collaborativo che permette alle persone di riunirsi per lavorare nella stessa stanza virtuale, indipendentemente dalla distanza fisica. Funziona sia in realtà virtuale che sul web ed è progettato per migliorare la capacità del team di collaborare, comunicare e connettersi a distanza, attraverso il potere della Virtual Reality.

CBA Insight Metaverso Horizon

Empowerment: GucciXFACEIT: Gucci l’anno scorso ha annunciato la collaborazione con FACEIT, organizzatore di tornei E-Sports, per la creazione della propria gaming academy con l’obiettivo di sviluppare al meglio le capacità dei giocatori coinvolti, fornendo loro tutti gli strumenti utili a diventare giocatori professionisti.

CBA Insight Metaverso Gucci

Interazione: Lavazza Fnatic: Lavazza lancia la campagna “Icons of Italy” in collaborazione con il collettivo di gamer professionisti Fnatic. Tra le attivazioni previste, una mappa di Fortnite co-brandizzata che permette di vivere un’esperienza legata alla cultura italiana e al posizionamento di marca.

CBA Insight Metaverso Lavazza

Esperienza d’acquisto: Benetton Island: Benetton Island è un’isola disponibile su Animal Crossing, gioco di simulazione di vita di Nintendo, dove i giocatori potranno acquistare la collezione di 10 capi creata appositamente per l’occasione. Offline e online sono strettamente legati: l’acquisto del capo offline garantisce un codice per ottenere il capo anche online, facendolo vestire dal proprio avatar, e viceversa.

CBA Insight Metaverso Benetton

Unicità: Italia Regina: Italia Regina ha lanciato su OpenSea i suoi Eatable Token, NFT tematici dedicati ai prodotti alimentari italiani più iconici, i quali uniscono gusto e digitale offrendo all’utente un voucher unico di pari importo da utilizzare su ItaliaRegina.it.

CBA Insight Metaverso Pasta

INSIGHT N°3:

All’interno del metaverso è possibile rispondere a specifici bisogni con altrettanto specifiche attivazioni, influenzando positivamente il rapporto tra marca e consumatore.

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Il passaggio successivo si è svolto attraverso un workshop interno organizzato tra le mura di CBA, che ci ha portato a sviluppare un playbook d’azione utile a definire il percorso strategico e visivo per quei brand che intendono posizionarsi con forza all’interno di esso, con l’obiettivo di creare narrazioni coerenti e rilevanti in grado di generare valore reale e di lungo termine per i loro utenti e consumatori.

 

Se ti stai chiedendo come il tuo brand potrebbe posizionarsi all’interno del metaverso, e come creare una relazione più stretta con le persone al suo interno, scrivici a [email protected].

In CBA parlare di sostenibilità ha sempre significato partire dai fatti e individuare insieme ai brand il loro impegno concreto. Interpretare il ruolo di brand attivista è una cosa seria poiché i consumatori sono sempre più consapevoli e richiedono sempre più trasparenza.

Oggi quindi siamo contenti di potervi raccontare del percorso fatto insieme a Fileni. Un progetto su Purpose, Vision e Mission, che ha portato oggi il brand ad essere la prima B Corp al mondo nel suo settore.

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Abbiamo potuto farlo solo partendo da una realtà aziendale che crede fermamente nelle scelte che fa e che porta avanti un progetto di innovazione sostenibile da più di 20 anni, attraverso fatti tangibili: la scelta dell’agricoltura biologica, la produzione e l’acquisto di energia elettrica con Garanzia di Origine, la scelta dell’allevamento antibiotic free fino alla redazione di un Bilancio di Sostenibilità esteso a tutta la filiera, con l’ultimo traguardo della certificazione di Società Benefit.

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News Fileni B Corp double2

I fatti prima di tutto quindi. Ma un brand deve dotarsi di un compasso strategico, sia per orientare coerentemente le scelte future sia per comunicare (internamente ed esternamente) quello che è un progetto a lungo termine. Cba ha proprio avuto questo ruolo, attraverso un progetto strategico articolato in 5 fasi, che ha coinvolto il board aziendale e la prima linea del management Fileni.

  1. Abbiamo condotto un brand assessment per scoprire le ambizioni e motivazioni profonde del board e della famiglia Fileni;
  2. Abbiamo co-progettato, in un workshop di envisioning con la proprietà e il management, gli impegni e il metodo che l’azienda si vuole dare, alla luce dei successi passati e degli obiettivi futuri (metodo The Future Backward). 
  3. Abbiamo misurato con una fase di KPI scoring il percepito attuale in azienda, presso gli stakeholder territoriali e la filiera nonché i consumatori, rispetto alle aree di impegno di Fileni. 
  4. È stato definito un action plan per i prossimi 3 anni che porterà Fileni a mettere in atto concretamente gli impegni presi e parallelamente a raccontare e a migliorare il percepito in tutte le aree;
  5. Infine abbiamo sviluppato il primo toolkit di comunicazione del compasso strategico, allo scopo di ingaggiare tutti gli stakeholder con materiali fisici e digitali caratterizzati da una visual identity propria.

Questo processo si è concretizzato in un Purpose che vede Fileni appropriarsi del concetto di Cultura Rigenerativa, interpretata come bene comune che deve diffondersi soprattutto nelle nuove generazioni.

Oggi Fileni, con una purpose scolpita, patrimonio di tutti i dipendenti e appartenenti alla filiera, è portabandiera di un approccio etico alla produzione e al consumo in grado di ispirare un nuovo modello di fare impresa, che valorizza il territorio in modo sostenibile e profittevole.

Fileni, produttore marchigiano nel settore avicunicolo, è il terzo player in Italia e occupa la prima posizione nel comparto della carni bianche biologiche. 

Insight Strategy Brand Activism 01 Marcas Ativistas

L’attivismo dei brand non è una novità. L’importanza di avere un purpose chiaro è stato ampiamente discusso per decenni. In linea con questo principale proposito c’è la necessità di definire quali cause vuole supportare una marca, soddisfacendo le esigenze di un pubblico che desidera posizioni sempre più umane e coerenti.

Oggi l’obiettivo dei brand è molto più di ricavare profitto: ci si aspetta da loro un contributo per la creazione di una società migliore.

La pandemia, la polarizzazione delle società, la forte presenza dei social media e la crescente cancel culture hanno potenziato questo scenario. Quella che solitamente è un’opportunità ora è un requisito, molto spesso essenziale per la sopravvivenza. Le marche devono costruire un impatto positivo; la mera posizione di scambio di beni e servizi, insieme alla neutralità nei confronti di questioni rilevanti come il razzismo, la gender equality, il femminismo e l’ambiente, non è più un’offerta sufficiente. Non prendere una posizione potrebbe dare l’impressione di consenso, mentre avere un’opinione potrebbe risultare un’ipocrisia se poi non supportata da azioni concrete.

Quindi, i brand devono prendere una posizione chiara e devono impegnarsi sinceramente in una o più cause così da rimanere competitivi.

La sfida è come approcciarsi all’attivismo in modo costruttivo, rimanendo fedele ai valori del brand e allo stesso tempo senza sembrare egoisti, oltre a fare attenzione a ridurre il rischio di boicottaggio in un ambiente sempre più esigente dove un errore può risultare fatale.

Tenendo a mente questa impostazione, proponiamo delle riflessioni per aiutare i brand a capire i possibili tipi e livelli di attivismo, così come i rischi e i benefici di alzare la voce.

Percorsi che, quando seguiti con sincerità e trasparenza, possono condurre a un commitment reale e duraturo.

DIVERSI TIPI E PROFILI DI BRAND ACTIVISM

Sappiamo tutti che non c’è un solo modo per impegnarsi, e non c’è un modo giusto o sbagliato. Suggeriamo di seguito una classifica di “activism profile” basati sul DNA di un brand e le sue potenziali relazioni con i suoi stakeholders, al di là della semplice grandezza o categoria della società.

Insight Strategy Brand Activism 02 Profiles

SUPERACTIVISTS

Sono i marchi attivisti sin da quando sono stati fondati, profondamente impegnati in cause relative ai valori fondamentali del brand, supportati dai soci fondatori o dallo stesso CEO. Sono aziende che credono che l’azione parli più forte delle sole parole, scendono in strada con il loro pubblico per essere ascoltati e mirano realmente a raggiungere il cambiamento sociale.

  • L’esempio più conosciuto che ha avuto più successo è Patagonia, il brand di outdoor lifestyle impegnato in cause ambientali, il loro consiglio “non comprare questa giacca” che incoraggia le persone a riconsiderare l’impulso dell’acquisto è diventato un argomento di discussione.
  • Anche il brand di gelati Ben & Jerry’s (Unilever) è impegnato in cause sociali.
Patagonia the ideal cycle & Etichette contro i negazionisti del cambiamento climatico
Insight Strategy Brand Activism 04 Patagonia
Insight Strategy Brand Activism 05 Patagonia
Ben & Jerry’s campagna di protezione ambientale
Insight Strategy Brand Activism 03 Ben Jerrys

PARADIGM-BREAKERS

Sono i marchi innovativi, dei veri pionieri del loro rispettivo business da quando sono stati creati. Cambiano i modelli e rompono lo status quo nella categoria. Questi solitamente creano un legame emotivo con i loro clienti, per soddisfare bisogni precedentemente mai soddisfatti.

  • Impossible Burger è un esempio di questo profilo. Pioniere dell’industria di carne vegetale, la sua missione è di ridurre l’impatto negativo ambientale della macellazione della carne.
  • Un altro esempio è Fenty Beauty di Rihanna, un marchio di makeup che ha lanciato 50 sfumature di fondotinta in un mercato ancora esclusivo.
  • In Italia, chi prova a cambiare lo status quo nel proprio settore è Fileni, pioniere nel biologico e “attivista” ambientale per tutti i temi legati alla rigenerazione della terra e all’economia circolare.
Impossible Burguer, calcolatrice di impatto ambientale & Fenty, campagna antidiscriminazione
Insight Strategy Brand Activism 06 Impossible foods
Insight Strategy Brand Activism 07 Fenty

DARING/AUDACI

Sono i brand che non sono costantemente impegnati come i “superattivisti”, ma che comunque difendono i loro valori e le loro cause in modo coerente. Conducono azioni coinvolgenti e prendono agilmente una posizione sulle questioni attuali connesse ai loro valori, unendosi a conversazioni e incoraggiando discussioni.

  • Starbucks, negli Stati Uniti, si impegna con le questioni di giustizia sociale, raccogliendo risultati positivi, ma anche critiche. Il brand ha vietato le armi nei suoi store, supporta i matrimoni gay e incoraggia le discussioni contro il razzismo.
  • Nike ha fatto parlare molto di sè a proposito della collaborazione con gli attivisti per i diritti civili americani e il quarterback di football Colin Kaepernick, e per l’annuncio “Just don’t do it”, chiedendo alle persone di non voltare le spalle al razzismo. Il marchio americano, che è già molto impegnato nella lotta al razzismo, ha ricevuto molti elogi, ma anche la perdita di supporto da molti americani conservatori.
Nestlé Cocoa Plan, Programma che garantisce una produzione equa di cacao
Insight Strategy Brand Activism 08 Nike
Insight Strategy Brand Activism 09 Nike

RESPONSIBLE/RESPONSABILI

Società che intraprendono azioni con una causa (attraverso fondazioni, programmi di responsabilità sociale, donazioni). L’attivismo del brand non è evidente nei loro pilastri o nei loro canali di comunicazione. E’ un impegno più tradizionale e discreto, senza generare controversie o discussioni ma comunque potenzialmente coinvolgente per i loro consumatori. Oltre ad intraprendere azioni, queste aziende sono consapevoli che il loro portfolio di prodotto debba essere allineato con la sostenibilità e con i requisiti per promuovere un effettivo cambiamento nella società e nel pianeta.

di seguito, tre giganti che meritano di essere menzionati: Nestlé, con il “Cocoa Plan”, che garantisce una produzione equosolidale di cacao, offrendo condizioni di lavoro dignitose alle famiglie degli agricoltori. Kimberly-Clark, con il suo ambizioso obiettivo di ridurre l’impatto di CO2 del 50% entro il 2030 e infine Braskem, con il marchioI’m green™, che rafforza l’impegno della società per l’economia circolare.

Nestlé Cocoa Plan, Programma che garantisce una produzione equa di cacao
Insight Strategy Brand Activism 10 Cocoa Plan

L’insight è stato scritto da CBA B+G, leggi l’articolo originale a questo link.

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A maggio 2019, usciva il nostro report IMG, Direct to Consumer revolution, dedicato ai brand DTC, player nativi digitali che, disintermediando la catena del valore, ridefiniscono i confini di alcune industry specifiche.

Nel frattempo molte cose sono cambiate, e il fenomeno DTC, accelerato dalla digitalizzazione raggiunta durante la pandemia, ha influenzato le regole del gioco in diversi settori, anche in Italia.

Basti pensare a quello che è successo qui da noi negli ultimi sei mesi:

  • Granarolo ha aperto il suo primo canale digitale
  • Campari ha acquisito il 49% di Tannico
  • Lancome ha inaugurato lo streaming e-commerce direttamente su Livescale
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Il motivo per cui anche gli established brands fanno i loro non più timidi passi nel DTC è riconducibile a tre obiettivi fondamentali.

  • Tattica:Per chi ha una rete di distribuzione propria, capillare sul territorio, attivare la modalità DTC permette di utilizzare al meglio la logistica tradizionale. Questo può valere soprattutto per le reti dei prodotti FMCG freschi, che avvalendosi della logistica quotidiana relativa ai super, quindi estremamente capillare, sono in grado di gestire la distribuzione relativa ad un e-commerce e allo stesso tempo distribuire i costi relativi alla logistica stessa.
  • Sopravvivenza:Molte aziende non sopravviveranno senza costruire un modello di business data-driven. Questo vuol dire solo in parte raccogliere dati e utilizzarli per segmentare, targetizzare e realizzare pricing adeguati. Ma introduce la possibilità di costruire relazioni personalizzate, intime e di lungo periodo per restituire più valore al consumatore.
  • Evoluzione: Lavorare sul DTC, vuol dire accelerare la “servitization”, compiendo il passaggio obbligato da prodotto a soluzione olistica attorno al job to be done. Ed ecco che Lancome non vende più un rossetto ma una modalità di empowerment. Tannico non vende vino, ma il farti sentire un sommelier. E questo avviene attraverso il servizio, abilitato però dallo storytelling del contenuto e da una piattaforma digitale integrata e seamless.
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Una nuova baseline da cui è difficile emergere

Tuttavia, queste tre leve, decisamente cruciali per le realtà consolidate, non sono più la novità per i consumatori, che nel frattempo hanno nuove aspettative: si è alzata l’asticella, tanto che ora il pubblico non solo vuole, ma pretende, un customer care impeccabile, ottimo design, esperienze wow e senza intoppi, un sito e dei social pieni zeppi di contenuti di intrattenimento, supportati da una community coinvolgente.

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In tanti, soprattutto a livello internazionale, hanno visto questo momento storico come un’onda da cavalcare, piena di opportunità per differenziarsi sul mercato. Il risultato però è stato esattamente l’opposto. Ovvero un’omologazione in termini di proposta data dal voler seguire “le leggi del DTC” alla lettera: presa una tipologia di prodotto, come lo spazzolino elettrico, possiamo vedere come il mercato si stia saturando di prodotti uguali, con lo stesso modello di business, con lo stesso design, la stessa strategia di comunicazione e tone of voice. Stiamo assistendo ad un appiattimento dell’offerta che il consumatore fatica a navigare perchè tutti i brand rispondono esattamente nello stesso modo allo stesso bisogno.

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Stiamo inoltre assistendo ad un aumento del CPA (cost per acquisition) proprio perché il fortissimo modello di comunicazione sui social adottato in prima battuta dai DTC è diventato il canale principale di vendita della maggior parte dei DTC stessi, portando i costi alle stelle.

Ma non solo: i DTC hanno nel loro DNA una risposta specifica ad un’esigenza di un target nicchia. Questa “ossessione” verso una nicchia specifica, che per diverso tempo ha denotato la forza e il successo di questi brand, oggi sta iniziando a scricchiolare: ormai la nicchia è stata raggiunta, se non dal brand stesso da uno dei competitor, e la crescita in termini di volumi è diventata difficilissima da raggiungere, se non con nuove strategie di espansione di portfolio e/o servizi.

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Quale valore aggiunto possono portare i big brands all’interno di questo mercato ormai saturo?

L’ingresso dei big brand all’interno di questo mercato potrebbe smuovere le acque e portare novità interessanti in un momento di forte difficoltà per queste piccole realtà:

  • 1 – La differenziazione dell’offerta. In un mercato in cui tutti parlano ai Millennials, i big brands hanno la possibilità, grazie alla loro capillarità e alla loro diffusione, di creare nuove risposte a bisogni diversi di diversi target. Anche per nicchie che sono state dimenticate da tempo, come ad esempio le generazioni più grandi o la popolazione della provincia. Non un’unica nicchia di riferimento ma una costellazione di nicchie e di bisogni che possono trovare risposta in un unico brand.
  • 2 – Da purpose ad azione. Ogni DTC nasce con una scelta etica sociale o ambientale nel proprio DNA, ma spesso questo non basta per portare risultati concreti. I grandi brand, al contrario dei piccoli DTC, hanno la forza di fare la differenza, di avere un forte impatto, non solo con azioni concrete ma anche come promoter di idee forti in grado di influenzare e muovere la massa.
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Un nuovo nemico comune

MA… C’è ancora un grande MA.

Entrambi DTC e big brands si troveranno a breve a combattere un nemico comune…

Aver eliminato i vecchi intermediari non è più abbastanza. Ne stanno nascendo di nuovi che ruberanno il posto privilegiato di contatto diretto con i consumatori. Basta pensare alla crescita inarrestabile del voice shopping.

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In un sempre più vicino futuro, infatti, saranno gli assistenti virtuali a scegliere per noi, basandosi sulle nostre abitudini d’acquisto ma spingendo molto anche i brand proprietari o quelli che saranno disposti a pagare per essere automaticamente scelti. Questo porterà alla nascita dell’incidental loyalty ovvero, la nascita di una fedeltà legata a scelte di cui l’utente non ha il controllo.

Insomma, la lotta per la disintermediazione continua..

Il genere e le disuguaglianze: a neverending story

La storia delle disuguaglianze tra uomini e donne è lunga come “la storia dell’uomo” (sic!). Eppure oggi assistiamo a cambiamenti e segnali importanti che sembrano andare oltre la celebrazione con le mimose dell’8 marzo, sia a livello di movimenti politici che a livello culturale ed economico con l’attivismo dei brand più impegnati. Sul fronte dell’impegno civico femminile gli ultimi anni hanno visto vari fenomeni come il movimento #metoo nato negli Stati Uniti contro la violenza sulle donne, seguito da altri movimenti come “Non una di meno” in Italia o eventi virali come il flashmob sulla violenza di genere del collettivo cileno Las Tesis, ormai esportato in tutto il mondo (Las Tesis – video YouTube).

Impegno, attivismo e ruolo dei brand

Ciò che invece avviene parallelamente nel mondo del business è una nuova consapevolezza ed un nuovo approccio da parte dei brand in tema di genere e di bisogni delle donne, andando incontro alle esigenze delle persone che non hanno il tempo, la voglia e la possibilità di prendere parte ai movimenti femministi ma che si ritrovano nella causa.

Come ricercatori di trend ci siamo imbattuti in numerosi esempi di brand che agiscono con un nuovo approccio ai temi di genere.

Sottolineano il “women empowerment” entrando nel quotidiano delle persone, con servizi e prodotti pensati per le donne e con messaggi e azioni che promuovono la loro autodeterminazione e contribuiscono a smantellare tabù come mestruazioni e menopausa.

Dalla body positivity all’empowerment femminile

Nell’ambito del business e dei brand ricordiamo tutti l’esempio di Dove, precursore del tema della body positivity con il suo “Dove Progetto Autostima”, campagna con anche laboratori per le scuole sull’accettazione del proprio aspetto fisico. Molte grandi corporation ne hanno poi seguito l’esempio e possiamo notare due diversi livelli di cambiamento.

Il primo vede i brand più established cominciare ad occuparsi delle donne in modo diverso, cercando in qualche modo di “rimediare” a quanto fatto in passato (rappresentazioni sessiste, stereotipate e limitanti della donna) con campagne e singole iniziative;

Il secondo è più bold e innovativo ed è presidiato da molti nuovi brand che fanno dell’empowerment femminile la propria purpose, la propria ragion d’essere.

Nel primo caso, in ambito musicale troviamo la collaborazione tra aziende come Smirnoff e Spotify che hanno creato insieme la playlist paritaria “Equalizeru0022 dove compaiono artisti uomini e donne in egual misura, al contrario di quanto ancora avviene in una industry come quella musicale, ancora dominata in larga parte dagli uomini.

Nel mondo delle telco Vodafone ha creato il cortometraggio “Raising Voices” che va nella stessa direzione parlando degli stereotipi e delle disuguaglianze che vanno a determinare la segmentazione orizzontale del mercato del lavoro, attraverso la voce di attori bambini che si chiedono “perché gli specialisti IT sono solo uomini?” e ”perché quasi tutti i supereroi sono uomini?”. Negli anni, diversi sono i brand anche più grandi che hanno “imparato la lezione”, facendo proprio il tema dell’empowerment, come Nike con “All Women Project” che ha raccolto le storie delle atlete di NY, di tutte le taglie, di tutte le etnie all’insegna dell’inclusività, con l’elemento comune dell’essere “toste”, donne diverse ma che ce l’hanno fatta e celebrano la loro unicissima e irripetibile diversità (https://www.nike.com/us/en_us/e/cities/nyc/all-woman-project).

Ci sono poi i nuovi brand che nascono con un target specificamente femminile, con un approccio ancora più inclusivo, spesso marcatamente femminista e che fanno dell’empowerment la propria missione.

Nell’ambito dello sportswear ci sono brand come Outdoor voices che interpretano perfettamente il tema dell’inclusività, facendo vivere la propria purpose “We’re on a mission to get the world moving. Moving your body generates endorphins. Endorphins Make You Happy”. Per questo rappresentano un mondo dove lo sport è per tutti e per tutte, non solo per le atlete, lontano dal tradizionale immaginario più performativo e competitivo. (https://www.outdoorvoices.com/).

Nel settore dell’underwear è paradigmatico in questo senso il caso della crisi di Victorias’ Secret, il più grande player del mercato USA, che ha visto scendere le proprie quote di mercato dal 33% al 24% in 2 anni ed ha chiuso 52 negozi nel 2019. Al suo posto si stanno facendo spazio nuovi player come Lonely, brand che sceglie modelle curvy e con fisici più normali delle “Angels” di VS, dall’identità forte e genuina con uno stile fotografico inusuale, dove figurano tranquillamente smagliature, peli e modelle molto più umane delle top model di VS. Il problema di VS si trova nelle motivazioni della sua fondazione, nel 1977, quando il businessman Ray Raymond volle creare “un negozio di intimo dove gli uomini potessero acquistare qualcosa di carino per le loro mogli”. Questo modello incentrato sull’estetica stereotipata della top model, che rispondeva ai bisogni dei mariti piuttosto che delle utilizzatrici finali, è esattamente ciò che ora viene messo in crisi. Anche Agent Provocateur, brand dal nome eloquente, era famoso per le pubblicità estremamente provocanti, ha presentato istanza di fallimento, è stato acquisito da Four Holdings e sta ripensandosi da zero: ”Lingerie doesn’t have to be serious. It should be fun and playful and empowering” – questa è la nuova impostazione della creative director di Agent Provocateur.

Nello stesso settore nascono brand che fanno della comodità e della praticità per le utilizzatrici finali il loro punto distintivo. Parliamo di Thinx ad esempio che con il suo period underwear ha realizzato un intimo femminile specificamente progettato per il ciclo mestruale, con una u0022capacità di assorbimento pari a quello di 4 tamponi”. Il loro sito non mostra solo il prodotto ma è ricco di contenuti sulla salute femminile e parla un linguaggio empatico, volto alla normalizzazione dell’argomento mestruazioni nella vita quotidiana delle donne (e degli uomini).

Anche nel settore del beauty abbiamo esempi come Fenty Beauty by Rihanna, il brand di make-up creato dalla cantante in collaborazione con il colosso LVMH, che punta tutta la propria identità sull’idea che truccarsi non è più mettersi un’uniforme che standardizza la bellezza, ma piuttosto uno strumento creativo per esprimersi, accessibile a tutte ed inclusivo perché pensato per ogni tipo di colore di carnagione.

La stessa AWLAB, insieme a CBA, ha creato il nuovo retail brand “HERE”, uno store per sole donne che è anche una piattaforma di eventi e workshop che vuole dare gli strumenti alle giovani per imparare, per essere sé stesse al di fuori dei modelli preconfezionati e per realizzarsi in ambito professionale, soprattutto all’interno del fashion system. Del resto AWLAB non è nuova ad iniziative come questa, se pensiamo al progetto #WMNStogether organizzato l’anno scorso a Milano, dove 6 ambassador di talento sono state invitate a tenere talk, laboratori e dj set tutti al femminile, per dimostrare ancora una volta alle giovani donne che i supereroi possono essere anche donne, che possono essere ciò che vogliono e che possono realizzare le loro aspirazioni. In questo senso AWLAB ha chiuso il cerchio con entrambi i livelli, passando dalla singola iniziativa alla creazione di un vero e proprio brand come HERE, interamente dedicato alla valorizzazione delle giovani donne.

Francesco Saviola, Strategic Designer at CBA

Il tema della sostenibilità si sta facendo sempre più pressante in ogni ambito produttivo ed economico, toccando sfere anche diverse tra loro, dall’attenzione all’ambiente, all’impatto sociale ed economico delle singole scelte dei brand. In questo scenario il design assume ruoli diversi: dall’essere sinonimo della produzione di prodotti e servizi sempre più sostenibili – e allo stesso tempo profittevoli – ad un vero e proprio approccio alla progettazione, olistico e sistemico, “sostenibile” nelle sue stesse premesse, indipendentemente dal risultato che quella particolare forma di “design” può arrivare a produrre.

Inutile citare, nel primo caso, i numerosi esempi di prodotti e servizi che utilizzano materiali, processi, tecniche produttive che poco impattano nello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e che, allo stesso tempo, non vedono intaccata la loro profittabilità.

Patagonia è uno dei brand più celebri che vanno in questa direzione: nata in California nel 1972 da una piccola azienda che produceva attrezzature per climber, oggi produce e vende capi di abbigliamento per lo sport, il tutto in modo sostenibile. Dal 1994, ad esempio, tutti i capi di cotone di Patagonia sono realizzati al 100% con cotone organico, invece che con quello coltivato con uso massiccio di pesticidi.

Insight Design Sustainability 01 Patagonia

Anche Apple, per quanto ad un primo impatto nel nostro immaginario, possa sembrare lontana dall’idea di “sostenibilità” ha dato un serio contributo, firmando un accordo nel 2015 del valore di $1B con First Solar, il più grande costruttore di parchi solari negli Stati Uniti. Utilizzando la loro tecnologia Apple riesce ad alimentare i suoi negozi, uffici e data center in California con l’energia solare.

Insight Design Sustainability 02 Apple

Altro esempio ben noto è Lush Cosmetics, un marchio di prodotti completamente naturali per l’igiene e la bellezza della persona che fattura circa $1B. Lush è fin dalla sua nascita dedicato a produrre prodotti e pratiche ecocompatibili. Il suo successo e la loro dedizione al rispetto dell’ambiente stanno aprendo la strada ad altre aziende di bellezza, sfatando sempre di più il mito che “essere sostenibili costi troppo”.

Ma il connubio tra design e sostenibilità ha fatto un passo oltre: oggi non è più “solo” votato alla produzione di prodotti sostenibili (o nel loro risultato finale, come nel caso di Patagonia e Lush, o nel suo processo produttivo come nel caso di Apple).

Insight Design Sustainability 03 LUSH

Se è vero che il design è diventato sempre più sinonimo di un approccio progettuale prima ancora che il risultato visivo e concreto di un lavoro creativo – si pensi a come il mondo del business sia stato inondato dal “Design Thinking” – anche la “sostenibilità” che si associa all’universo del design inizia ad essere sempre di più sinonimo, in primis, di un approccio progettuale.

Parliamo di un approccio sistemico che nel momento stesso in cui si dimostra capace di tenere in conto, durante la risoluzione di un problema, dell’intera rete di attori da coinvolgere e del contesto nel quale si immerge, è per sua natura “sostenibile”. Un approccio che considera le sfide in modo olistico, focalizzandosi sulla risoluzione dei problemi ad un più alto livello, rendendo possibili cambiamenti molto più radicali che riguardano il mutamento delle consuetudini e dei comportamenti dei consumatori.

Si tratta quindi di allargare lo sguardo per capire come rispondere ad un determinato bisogno di benessere. Progettare sistemi di prodotti e servizi all’interno dei quali imprese, consumatori, istituzioni e tutti gli attori sociali convivano nel rispetto delle loro reciproche interazioni.

Pensiamo ad esempio al fenomeno del car sharing: l’approccio progettuale olistico e sistemico con il quale è stato progettato, ha rivolto la sua attenzione al concetto più ampio di mobilità, esplorandola in tutte le sue accezioni, prima ancora che dirigersi verso la progettazione di veicoli meno inquinanti. In quest’ottica il design “sostenibile” tende a ragionare non solo in termini di prodotto e servizio ma nel costruire relazioni proficue e nuove partnership per affrontare i problemi in modo diverso.

Attraverso un approccio sistemico alla risoluzione dei bisogni a cui le aziende – da sempre – coltivano l’ambizione di voler rispondere, è possibile immaginare “mondi nuovi” progettando interazioni con gli utenti mai viste prima. Un approccio sostenibile, prima ancora che un risultato sostenibile.


Francesco Saviola, Strategic Designer