Al giorno d’oggi siamo abituati a fare domande e conversare con i vari assistenti digitali: Siri, Alexa, Assistente Google. Ognuno ha il suo timbro di voce, con la sua personalità e le sue caratteristiche. Agli albori dell’intelligenza artificiale non era così. La “voce” di un assistente era legata in maniera imprescindibile alla forma delle lettere. Ne sa qualcosa Microsoft, che nel 1994 stava portando avanti un progetto per rendere più amichevole l’interfaccia utente di MS Bob, un sistema operativo alternativo che riproduceva il salotto di casa come spazio di lavoro. Non poteva mancare, in questa logica, l’assistente perfetto, il fedele cane Rover.
È qui che inizia l’avventura del Comic Sans. Il simpatico cagnolino, infatti, “parlava” e dava i suoi suggerimenti attraverso il Times New Roman, carattere nato nel 1932 con tutti altri scopi. L’inadeguatezza espressiva del carattere colpì Vincent Connare, un Type Designer della Microsoft con un passato all’Agfa/Compugraphic. Sulla sua scrivania c’erano delle copie di Watchmen e Batman. Connare pensò subito che il tocco umano delle lettere dei fumetti fosse più giusto per un assistente dal look amichevole come il cane Rover. Si mise quindi al lavoro per realizzare un carattere che sarebbe passato alla storia, il Comic Sans.
Sfortunatamente il carattere non venne usato in MS Bob, ma venne inserito come uno dei font di base del nascente Windows 95. Qualsiasi persona dotata di un PC di ultima generazione ora poteva utilizzare il Comic Sans. Il suo uso divenne massivo: dagli inviti per le feste di compleanno ai biglietti d’auguri, dai menù dei ristoranti ai manifesti fai da te. Buona parte di quello che usciva dalle stampanti domestiche era stampato in Comic Sans. L’aspetto infantile, divertente e naïf del carattere comunicava un senso di vicinanza che altri caratteri, per quanto prestigiosi, non potevano vantare. Divenne la scelta naturale per chi non voleva prendersi troppo sul serio, ma non solo, purtroppo. Il suo uso si trasformò in abuso e qui iniziarono i problemi. Documenti ufficiali, macchine della polizia, avvisi di pericolo di morte, lapidi cimiteriali. Il Comic Sans iniziò a comparire troppo spesso in contesti del tutto inappropriati, suscitando un’involontaria comicità che presto si trasformò in insofferenza, soprattutto nell’universo dei designer.
Agli inizi degli anni duemila prese vita un movimento contro il carattere che sfociò nel sito (oggi non più attivo) bancomicsans.com, dove era possibile comprare T-shirt, cappellini e adesivi che bandivano il carattere. Gli ideatori, Holly e David Combs, pubblicarono anche una sorta di manifesto per spiegare il loro dissenso:
Del font si occupò anche il Wall Street Journal, che nel 2009 lo definì così impopolare da risultare retro-chic. Design Week gli dedicò addirittura una copertina, inserendolo in un’ironico messaggio: “Qual è il font più amato?!”. La sua inadeguatezza a comunicare in maniera credibile è anche oggetto dell’ironico blog Comic Sans Project, dove vengono ridisegnate identità famose con il carattere incriminato.
Nel corso degli anni l’uso improprio del carattere non è affatto cessato. Nel 2012, ad esempio, venne utilizzato dai ricercatori del CERN nella conferenza stampa che annunciava al mondo la scoperta del Bosone di Higgs, mentre nel 2014 alcune star dell’NBA hanno indossato una maglietta di protesta con il testo “I can’t breathe” in Comic Sans.
Nonostante le tante critiche ricevute, il Comic Sans ha un grande merito, quello di mostrare in maniera evidente che ogni carattere ha una sua personalità, adatta a certi contesti e inadatta ad altri. Le motivazioni che spinsero Connare a disegnarlo erano del tutto nobili e, se fosse rimasto confinato nel territorio previsto, il Comic Sans avrebbe svolto in maniera egregia il suo compito, senza suscitare tanto clamore. Come dichiarò Connare stesso nel corso di un’intervista “Se si ama il Comic Sans, non si sa granché di tipografia. Se lo si odia, non si sa ugualmente granché di tipografia, e bisognerebbe trovarsi un altro hobby” a rimarcare che non è un carattere in sé ad essere giusto o sbagliato, ma l’utilizzo che se ne fa dello stesso.
Giuseppe Mascia, Visual Design Lead at CBA